di Luigi Scardigli
FIRENZE. Che l’inizio, tipicamente dark, non tragga in inganno. La Fantasia è un’altra cosa, un esercizio acrobatico che non lascia a bocca aperta, vero, ma che suggerisce vie di fuga da una realtà che, quasi sempre, è ingolfata: dallo smog, dai rumori assordanti del traffico, dalla nebbia che ci confonde l’uno all’altro, dal nostro anonimato che non garantisce privacy, ma favorisce la reciproca cannibalizzazione. Pasquale Scalzi, Francesco Dendi e Edoardo Nardin lo sanno perfettamente che i rischi incombenti, oltre a tutto il resto, sono anche questi.
E allora suggeriscono una difesa, globale, collettiva. Su ispirazione, involontaria, naturalmente, di Bruno Munari, il designer del boom economico, quello che ha coniugato la rinascita all’adolescenza. Siamo al teatro di Rifredi, a Firenze, quartultimo appuntamento della sua trentesima stagione. La primavera, complice un vento invisibile, ma noiosissimo, stenta a decollare, anche se, ad onor del vero, l’inverno non sia mai arrivato, in zona. In platea, per fortuna, ci sono anche alcuni marmocchi, non tutti italiani, tra l’altro. Anche loro, paradosso, capiranno il messaggio clownesco del palcoscenico, anzi, forse ne avranno una percezione migliore, più libera da qualsiasi archetipo che abitualmente sovrasta e occupa troppa parte della riflessione teatrale. Ci sono una miriade di informazioni che scendono sul pubblico dalla zona rialzata riservata agli artisti, che però, non proferendo la benché minima sillaba, si confonderanno tra le poltroncine della sala. Ad iniziare dal vocalese delle sfere che piombano sul palco, cadenzate da ritmi suadenti e noti (il Bolero di Ravel, su tutti), incastonati nell’informazione da Edwin Lucchesi, che collaborerà anche con Clotilde, che si occupa dei costumi. Il progetto è firmato dal Teatrificio Esse, Terzo Piano teatro, Compagnia Sirteta e La Gualcheira, con un partner indispensabile, l’Associazione Bruno Munari, che ha trasformato il disegno, lo style e la preveggenza in scenografia. L’ideale, forse, sarebbe stato mandarlo in scena nel pomeriggio, La Fantasia, lasciando così intendere che si trattasse di uno spettacolo per bambini e visto che loro, gli adolescenti, i piccoli, i minorenni, in certi posti, non vanno che accompagnati dalle rispettive mamme e papà, si sarebbe ottenuto quello che forse era nelle corde degli ideatori: i figli che spiegano ai genitori cosa sta succedendo. Le identità inscatolate e dipinte a seconda delle esigenze tramortiscono al cospetto della leggerezza dei bambini, che hanno solo e soltanto un desiderio, giocare, senza prendersi troppo sul serio. E’ quello che si incunea nei rivoli dello spettacolo, teatralmente assente da ogni possibile identificazione recitativa, ma di cui faremmo meglio a riimpossessarci, noi publico, se solo vogliamo provare a salvarci.
