di Luigi Scardigli
FIRENZE. L’argomento è serio, anche se un po’ troppo inflazionato e non sempre così convincente. Ma che le donne, in assoluto, soffrano ancora qualche lembo importante di ragionevole considerazione rispetto allo strapotere maschile, è fuori discussione. In teatro però, la denuncia, a nostro avviso, andrebbe gestita con maggior profondità e più distacco e a Wonder Woman, invece, diretto e interpretato da Antonella Questa, Giuliana Musso e Matta Cuscunà, al teatro di Rifredi di Firenze da venerdì 1 aprile a domenica 3, i due perni non sempre hanno funzionato alla perfezione.
L’idea non è malvagia, anche perché, come sostenere il contrario, visto che la rappresentazione prende spunto dal lavoro di due colleghe (nostre), Silvia Sacchi e Luisa Pronzato, che hanno affrontato la questione argomentando, non personalmente, ma oggettivamente e in modo cosmico, che l’esclusione femminile dai vertici delle postazioni decisive si rivela, oggettivamente con dati percentuali impressionanti alla mano, un incredibile boomerang che colpisce letalmente tanto l’economia, quanto i rapporti mondiali e continua ad essere un freno inibitorio per un possibile, inderogabile e indiscutibile, miglioramento collettivo delle società tutte. L’esempio svedese – dove le donne sono considerate esseri umani e non dolci metà e basta - ne è prova tangibile, a cui l’Europa altra preferisce non dare il giusto peso. Sul palco, le tre attrici, fondono e confondono, con discreta naturalezza teatrale, la prova attoriale al reading, bilanciando le due facce dello spettacolo con qualche alleggerimento sarcastico e talune nozioni giornalistiche, che sono e diventano i tre bulloni ai quali si avvita l’intera rappresentazione. Anche qui, come sul grande schermo, ritorna Jeeg Robot, che è una Wonder Woman con superpoteri che due tedeschi – non è un caso -, riusciranno ad annullare. Nel mezzo, in una piacevole scorribanda chimica di voci e inversioni di ruoli, Antonella, Giuliana e Marta vestono gli abiti di tre signorotti invitati ad una festa, che si confidano le solite truci e purtroppo vere banalità maschili. Da qui al travestimento in majorette a stelle strisce da finale superbowl, passano attraverso la cruna di esperienze dolorose e grottesche, ripercorrendo i calvari sui quali molte, troppe donne, si sono dovute inerpicare. Ma a teatro, come sostiene Fabrizio Gifuni, è necessario che si inneschi un meccanismo chimico di biunivoca corrispondenza tra i protagonisti e il pubblico, in modo tale che al termine, per entrambi, possa dirsi essere successo qualcosa. E a noi, non è successo nulla.
