di Luigi Scardigli

FIRENZE. I nomi sono importanti, si sono vicendevolmente rinfacciati per tutto lo spettacolo, Roba da duri, Ivan(o) e il piccolo Martino. E hanno ragione entrambi, altrimenti, per spiegare la naturale versatilità alla recita del giovanissimo Gianmaria Corona, come altro si potrebbe se non nella predestinazione artistica del nome che si porta addosso. La direzione artistica del teatro di Rifredi, a Firenze, ha deciso di affidare alla coppia Riccio/Corona gli onori della chiusura della stagione e da ieri sera e fino a domenica pomeriggio, zio e nipote animeranno il palcoscenico teatrale dell’importante alcova culturale con il loro ultimo spettacolo, una notte tormentosa e tormentata di un quarantenne un po’ troppo punk per essere credibile costretto ad ospitare nel proprio appartamento il figlio della sorella, un bambino allevato in una famiglia normale-borghese.

 

Una di quelle dove le frizioni coniugali si risolvono lontano dagli occhi e dalle orecchie dei propri pargoli, ad esempioo; una famiglia decisamente più facilmente individualizzabile e discutibile di altre più sofisticate, dove si semina, poco e non sempre il meglio, tutti i giorni, per raccogliere chissà cosa e chissà quando anche nulla. Il piccolo Gianmaria Corona, salvo ripensamenti superiori dettati da futuri meno incerti del palcoscenico indotti da genitori che chiamandolo così, però, forse qualcosa, per il loro erede, stanno sognando e tramando, non è da escludere che dal teatro non voglia più uscirne. A capire la sua versatilità, Alessandro Riccio, che in scena, tra corti, produzioni e altro, ci bazzica da parecchio tempo e che è anche regista e adattatore di questa fantasiosa rilettura di alcune favole di Esopo, il leggendario favolista greco vissuto oltre 2.500 anni fa e di cui, al di là di questa versione teatrale, fortunatamente se ne parla ancora, non solo a scuola e non solo in quella frequentata da Gianmaria. Il dilemma, su Esopo, è dove mettere l’accento: se sulla prima o sulla seconda vocale. Naturalmente viene da chiamarlo Esòpo, ma così, la claudicanza, anche se parecchio veneta, offre uno spunto comico irrinunciabile, che il regista non si è lasciato sfuggire. La storia, però, poteva anche iniziare in modo meno forzatamente scoppiettante e paradossalmente meno aggressivo, essere un po’ meno buona nella struttura e nella morale e soprattutto chiudere il cerchio rappresentativo con qualche manciata in meno di scontatismo. In virtù della presenza del sorprendente marmocchio, però, bravo con tanto di doppia sottolineatura, tiriamo lungo e approfittiamo di questa nuova e gradita circostanza giornalistica per ringraziare la direzione artistica del Teatro fiorentino per averci riservato, puntualmente, la possibilità di assistere a tutti gli spettacoli della lunga stagione 2015-16, offrendoci così dell'ottimo materiale, a volte non debitamente considerato nemmeno dai rotocalchi più assidui e celebrati della nostra neonata testata, per le nostre recensioni.

 

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