di Luigi Scardigli
AGLIANA (PT). Fuori, piove. I due provvidi e fortunati, oltre che dall’acqua, si sono anche precauzionalmente protetti e salvati anche dalla fine che incombe. Certo, sono visibilmente disabili e per loro infatti chi di dovere ha costruito La Tana, non proprio su misura perché nel frattempo sono cresciuti, ma ideale per le loro esigenze, pressoché inesistenti: una televisione con telecomando, due letti che all’occorrenza diventano anche le loro lapidi e qualche pacco che ogni tanto, il mondo fuori divorato dalla follia, che loro non capiscono, si preoccupa di donare: qualcosa da mangiare e qualche gadget, per divertirsi, specie a carnevale.
Marco Cupellari è il regista di questo adattamento teatrale che ieri sera, sabato 16 aprile, ha chiuso la stagione al Moderno di Agliana e sul palco, adibito a ring polveroso, come se si trattasse di un rifugio antiatomico, ma parecchio casalingo e più verosimilmente un ghetto umano, i due mattatori, Laura Belli e Lorenzo Torracchi, prodotti dalla Compagnia Ziba. Le rispettive deformazioni psicofisiche, ma anche gutturali, si acuiscono con il passare della rappresentazione: è il tempo senza tempo che li invecchia e li incartapecorisce e che li incastona, perfettamente, all’interno di questo scantinato, dove si sono ritagliati la propria esistenza, inutile, immotivabile, atona. Riescono anche ad annoiarsi, talvolta, ma basta una piccola passeggiata, scandita da quindici passi, tanti per completare l’intero perimetro della loro Tana e l’attesa, adrenalinica, di un dono, che le loro vite, nemmeno accatastate, riescono ad illuminarsi addirittura. Quando erano fuori e prima di ammalarsi, o di incappare, accidentalmente, nei rigori del regime televisivo che li ha provvidenzialmente lobotomizzati, erano, probabilmente, due artisti: lo si capisce quando ballano, coordinandosi, sulle note di arie che non hanno alcuna relazione consequenziale l’una con l’altra. Ma la sistematica assenza di esercizio e soprattutto di contatto con la realtà ha fatto sì che si siano imbestialiti, assumendo nell’aspetto, nei modi e nella struttura, le sembianze di fiere, malate e ormai incapaci di spaventare chiunque, se non loro stessi, reciprocamente. Hanno anche ancora voglia di scopare, ma per un'indistinta gestualità meccanica, che non contempla sentimenti, passioni, corteggiamenti. La sclerosi finisce per ucciderla: lui, commosso, prova a sistemarla alla ben meglio nella bara di legno nella quale ha dormito tutto il tempo che ha vissuto in quella stamberga da sotto condominio. Per l’occasione, come quando erano felici e in procinto di passeggiare o in attesa dei pacchi che gli calavno dalle feritoie lungo i marciapiedi, lui indossa la giacca e si mette anche la cravatta: forse, snaltito il dolore, gli consegneranno una nuova compagna, sterilizzata, con la quale potrà liberamente copulare, o forse resterà solo. Di sicuro resterà lì, nella Tana, perché fuori non c’è più posto per lui; né lo riconoscerebbero più.
