di Luigi Scardigli
PISTOIA. I rischi erano molteplici e tentacolari: dallo scadere al cabaret televisivo stile Striscia la notizia a quello ancor più difficile da bypassare attraverso un sermone, scontato e inverosimile, sulla falsa importanza del denaro e sulla sua reale tossicodipendenza. Invece, Roberto Castello e Andrea Cosentino, al centro culturale il Funaro di Pistoia, sono riusciti nell’impresa, titanica, di mettere su un coreocabaret confusionale sulla dimensione economica dell’esistenza portando in scena un vero e proprio Trattato di economia, che ha ben poco da invidiare alle indiscutibili teorie di Smith e Malthus, passando da Keynes e Ricardo, fino ad arrivare a Marx. Ma con la tragicomicità e la leggerezza che contraddistinguono il teatro, che fanno teatro.
Anche Stefano Bollani, il giocoliere del pianoforte, tra gli spettatori, ha gradito la simpatica irriverenza, così come gli Omini, orfani, per la prima volta, di Francesca Sarteanesi e l’attentissimo interprete Massimo Grigò. I dettagli non sono poveri come la teoria che sponsorizzano: la scenografia, seppur minimalista, occupa virtualmente ogni angolo della scena, anche perché occorre conciliare le anime eterogenee dei protagonisti: Roberto Castello, coreografo, ballerino, docente di arti performative torinese, fondatore di Aldes, che ha prodotto lo spettacolo, muove la danza anche e soprattutto come la sua mentore ispiratrice, Pina Bausch; Andrea Cosentino, teatino, sette anni meno vecchio, viene dalla scuola di Dario Fo e con le lezioni imparate perfettamente di grammelot, supera ogni barriera linguistica. Insieme però cosa possono fare? Tutto! In particolare uno spettacolo, affrontando, tra l’altro, uno dei temi più spinosi, l’economia e le sue false impellenze, argomento con il quale in molti hanno provato a fare i conti; parecchi, con risultati deludenti. Dietro una cattedra matrimoniale, sopra la quale scorre un tapis rulant dove viaggiano e cadono, inesorabilmente, tutti gli oggetti sopra depositati, le due anime provano ad affrontare l’argomento con una spigliatezza e una semplicità geniali, che prende spunto da due oggetti di plastica, di pari ingombro, dello stesso peso, ma con costi al dettaglio diversi: una paperella suonante usata da milioni di genitori per distrarre i propri marmocchi durante l’annosa operazione del bagnetto (2,5 €, reperibile ovunque, dai supermercati ai negozi di giocattoli fino alle edicole) e un cazzo finto (10 €, si trova solo nei pornoshop), anch’esso suonante, quasi sempre relegato e regalato in quelle malinconiche e tragiche ricorrenze, come gli addii ai celibati, ad esempio. Il primo viene utilizzato per centinaia e centinaia di volte durante lo svezzamento del piccolo e può anche essere riutilizzato con i fratelli più piccoli; il secondo scatena una commovente risata, al massimo due, per poi venir riposto in un angolo della casa dove tutti si augurano che nessuno decida di ficcanasare. Da lì, fino alla fine, tra i fumi inquinanti che generano una nebbia fittissima, come si conviene nei giorni più anonimi del Nord est, la lezione di economia – che impreziosisce la rassegna dell’Atp Teatri di Confine - usa e si compiace di esempi esilaranti, surreali, profondamente illogici come lo è, nella sua natura più intrinseca, la materia affrontata. Con scene sormontabili, incomprensibili sovrapposizioni, balletti che evocano masturbazioni e passi di danza della più recente interpretazione, sorrette, mai a fatica, da accuse furiose nei confronti di un sistema che si compiace della sua inestricabile conformazione, utile, da sempre e per sempre, a dare al denaro una potenza devastante, quella che tiene sotto il giogo milioni e milioni di persone chirurgicamente e inevitabilmente sottoposte ai capricci, inutili ma puntualmente soddisfatti, di pochissimi. L’ultima parola - che è la premessa ma anche la spiegazione dello spettacolo - ad Attilio Scarpellini, giornalista anomalo, irriverente, così poco incline alla diplomazia, non particolarmente gradito all’Ordine, che si rivolge agli studenti-spettatori grazie ad un video proiettato sulla faccia della cattedra. Per i critici che si sono spellati le mani in sala, stavolta, il compito per recensire è già fatto: basta copiare.
