di Luigi Scardigli
PISTOIA. Non abbiamo avuto la fortuna di vederli all’opera quindici anni fa, quando Minimacbeth prese forma e vide la luce. Ma non saremmo rimasti folgorati nemmeno all’ora, conoscendoci: questo riadattamento shakespeariano non ci avrebbe convinto perché, anche se questo dramma è tra i più consumati sui palcoscenici di tutto il mondo, persino affidati alla lirica, è particolarmente ampolloso, farcito di piani sintattici, ai quali, la triviale ironia e il grottesco implementati da Andrea Taddei, l’autore, non riescono ad alleggerirne la pesantezza, la distanza, l’inattualità, anche se il potere, come sempre, logora i suoi artefici, ma soprattutto chi non lo possiede.
Dario Marconcini e Giovanna Daddi, i due anziani interpreti, hanno confessato, a fine rappresentazione, di essersi voluti divertire ancora una volta in questa anomala rilettura, sfidando la gravità, il tempo e gli equilibri, adattandosi, con giovanile entusiasmo ed elasticità, alla miniaturizzazione del palcoscenico, allestito, per l’occasione, nella sala degli spettacoli del Funaro, l’associazione culturale pistoiese che ha ospitato questa nuova tappa di Teatri di confine, stagione estiva e obliqua dell’associazione teatrale pistoiese. La plumbea medievale Scozia viene riassunta e rappresentata da una lunga tavola regale in legno interamente cosparsa e coperta di foglie secche: alle estremità, Macbeth, con pantaloni di pelle e sua moglie, entrambi scalzi, quella che lo convincerà a disfarsi del suo virtuale rivale Re Duncan per poter liberamente aspirare al trono di Scozia e dare così ragione e corpo alla triplice profezia della Sorelle Fatali. Più che per il pubblico, spesso, abbiamo avuto l’impressione che Dario Marconcini e Giovanna Daddi abbiano accettato la scommessa di riportare in vita la tragedia per compiacersi, volendo dimostrare a loro stessi, prima di tutto, quanto siano ancora bravi, energici, disinvolti e carichi di ironia, che con Shakespeare diventa inesorabilmente sarcasmo. Il pubblico, però, seppur rappresentato con la solita gradevole avarizia dalla ridotta area del salone, in massima parte, ha gradito, riconoscendo ai due anziani interpreti tutta la vis che ne ha contraddistinto la gloriosa e lunghissima carriera teatrale, sottolineando il piacere di averli ospitati e visti all’opera con un lunghissimo applauso, costellato dai sorrisi, visibili, tangibili, riconoscibili, che ne hanno testimoniato indìsindacabilmente l’autenticità e non la circostanza. E questo potrebbe e dovrebbe bastarci. Ma anche no.
