di Luigi Scardigli

PISTOIA. Un’opera floydiana, con un messaggio visivo che spesso – ma non lo diciamo per sminuirne il plot – sovrasta e annulla quello verbale. E’ la storia andata in scena ieri sera, 11 novembre, al Teatro Manzoni di Pistoia (si replica stasera, alle 21 e domani, alle 16); è la performer di Daniele Salvo, ronconiano doc, con licenza di divagare e di affidarsi, nell’occasione, a Michele Ciacciofera (che si è avvalso, a sua volta, di Paride Donatelli, per le video proiezioni), sontuoso videomaker, capace di un allestimento prodigioso, quello delle Baccanti (prima regionale, prodotto dalla Fabbrica dell’Attore, Teatro Vascello di Milano in collaborazione con quello rumeno di Costanta), fedelmente ispirato alla tragedia di Euripide, scritta pochi mesi prima della sua morte, quattro secoli prima dell’avvento del Cristianesimo.
Il contenuto non ci ha entusiasmato perché non ci fanno impazzire le tragedie, soprattutto quelle che, checché se ne dica, o voglia dire, si ispirano alla religione. Lo sconsacrato Dioniso torna a Tebe per vendicarsi con Penteo, reo di averlo diffamato, accusandolo di non essere il figlio di Zeus, ma di una scappatella della madre Semele con un mortale. La furia religiosa si scaglia sulla città di Tebe, impadronendosi delle donne, che si trasformano in accanite consumatrici di vino (Baccanti, appunto) e divoratrici di uomini, dotandole inoltre di forza mostruosa, una furia disumana che induce alcune di loro, la madre e le sorelle, a uccidere, smembrandolo, proprio Penteo, scambiato per un leone. Non crediamo di avervi svelato il nome del maggiordomo, perché ci auguriamo caldamente che chiunque vada a vederlo, queste Baccanti, si prenda preventivamente la briga, qualora non dovesse già conoscerne i contenuti, di leggerne almeno un sunto veloce. Però, mentre scriviamo, stiamo pensando che l’effetto-teatro, con questa rappresentazione, si materializzi e realizzi anche all’oscuro della sua lettura, della sua conoscenza. Straordinaria, infatti, la violentissima collisione scenografica che si realizza con la contrapposizione del piccolo promontorio, a rappresentare Tebe, e le immagini che scorrono lungo il fondale posto al limitare del palcoscenico, a volte tridimensionali, della surreale rivisitazione. Le sette baccanti (Giulia Diomede, Giulia Galiani, Annamaria Ghirardelli, Melania Giglio, Francesca Mària, Silvia Pietta, Alessandra Salamida), coperte da innocenti veli a maglie, sono, fino all’infatuazione dionisiaca, suddite di un Re-Matrix forse un po’ troppo su di giri, già dall’entrata in scena, che inizia dalla platea; ottime le musiche, new age, di Marco Podda, così come gradevole risulta il ritorno sulle scene di un’eroina dell’avanguardia, Manuela Kustermann. Daniele Salvo, regista e protagonista, con Paolo Bessegato, Paolo Lorimer, Diego Facciotti, Simone Ciampi e Melania Giglio, fanno il resto, un complesso, ci preme sottolineare, che offre la precedenza alla potenza suggestiva dei colori e della fotografia, spesso in bianco e nero, di una giostra che non smette un attimo di rincorrersi senza mai perdere di vista, né come perno, nemmeno per un istante, il promontorio di Tebe, dove si consumano poesie, beffe, raggiri, amplessi, anche lesbo, e vendette, dove però – e qui ci rivolgiamo a Euripide – il marchio religioso ingombra. E non poco.
