di Luigi Scardigli

MONTECATINI (PT). Quello che succederà dopo, non è dato saperlo; e non perché si sia dei laici incalliti. Ciò che si consuma in prossimità, invece, lo sappiamo tutti, al di là del nostro agnosticismo. Stiamo parlando della morte, di quella raccontata, ieri sera, sabato 12 novembre, alle Terme Excelsior di Montecatini, in provincia di Pistoia, da Paola Vannoni e Roberto Scappin, autori e interpreti di Io muoio e tu mangi, uno dei sei appuntamenti teatrali (Sconfinamenti) organizzati da Ultimo Teatro Produzioni incivili, la compagnia nomade, più che itinerante, ideata e sorretta da Luca Privitera e Elena Ferretti.

Il palco è un semplice piedistallo in legno, dove trovano posto due sedie, posta l’una di fronte all’altra; sul fondale, un dipinto con una madonna qualsiasi che stringe tra le braccia il suo unicogenito (a che si sappia noi); in basso, appoggiata per terra, una coppa, un trofeo, molto più brutta e soprattutto meno utile di un prosciutto, se vogliamo dirla tutta. La morte del padre di lei e i giorni che anticipano la definitiva separazione, sono, quasi sempre, un’occasione di riflessione, un immergersi nelle vite nostre e di chi ci sta lasciando. Un viaggio verso il nulla, che non si sa mai cosa portarsi dietro, per affrontarlo al meglio. I toni della conversazione sono surreali; in alcuni momenti richiamano alla memoria i controsensi nichilisti della migliore tradizione bergonzoniana, ma il sorriso che scatenano sono una panacea per attutire la tristezza, un antidoto per alleviare il dolore dell’impotenza, quella che coglie, in un qualsiasi momento della vita, un vecchio in prossimità della fine e uno dei suoi cari, costretto, quest’ultimo, inerme e inerte, ad assistere, puntualmente inadatto, al trapasso. E’ un gioco di mimi, sagome, sussurri: accanto, del resto, come se si fosse in una sala d’attesa del reparto di geriatria di un ospedale dove non si trova mai da parcheggiare la vettura e dove il personale paramedico scambia le vite dei pazienti in numeri da giocare al lotto, c’è un vecchio in fin di vita: c’è poco da essere allegri, ancor meno da urlare. La vita accanto, però, scorre e chiede lucidità, presenza, azione. Allora occorre fondere e confondere la pietà verso chi sta partendo con la ragionevolezza di chi resta, provando a bilanciare, questo il momento più difficilmente equilibrabile, il dolore e il riscatto, la memoria e il futuro, la fine e il prosieguo. Paola e Roberto sono lì, l’una di fronte all’altro, nella loro casa, spoglia e spogliata dall’inevitabile incidente esistenziale che in quel preciso istante sta privando lei di suo padre e lui di suo suocero. Si scomoda la dignità, il necessario ricorso all’eutanasia, l’attenzione maniacale a dettagli che solo in certi momenti si amplificano e amplificano i nostri sensi. La verità è che siamo incapaci di tutto e non abbiamo alcun potere per arrestare il tempo o deviarne la traiettoria; siamo spettatori falliti, perché ciechi, più che miopi, dei nostri giorni, e non solo perché, per entrare, non si è passati dalla cassa a fare il biglietto. Siamo utenti sprovvisti dei documenti necessari al nostro riconoscimento, viaggiatori senza meta, tifosi sguaiati incapaci di essere oggettivi e obbiettivi nei confronti della superiorità degli avversari dei nostri beniamini. Paola e Roberto cercano di dare un senso a quell’attesa infinita, costellata di silenzi assordanti, rimedi artigianali, guizzi di irritante simpatia, buffi, commoventi, paradossali, inutili. Paola e Roberto, in verità, sono due attori che non necessitano di alcuna sovrastruttura, se non del loro coraggio artistico, religiosamente blasfemo, di aggirare le convenzioni ginevrine dello spettacolo e della recitazione, risorgendo Buster Keaton dalle sue smorfie disabili e dal suo mutismo e traghettando tutti i luoghi comuni direttamente nel cesso, senza passare da nessun’altra stanza dell’appartamento, dove in compenso e per fortuna abitano, distratti e senza patemi, molti degli altri, in attesa, svogliata, di un copione che faccia capire loro di essere ancora vivi. Anche se ancora per poco.

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