di Luigi Scardigli

FIRENZE. Il Natale si avvicina a grandi passi e la tacita organizzazione mondiale dello spettacolo allestisce, nei paraggi della festa delle feste, i suoi addobbi più cari. La commedia all’italiana – e L’anatra all’arancia ne è pietra pregiata -, anche se scritta da uno scozzese (William Douglas Home) e portata in scena da un francese (Marc Gilbert Sauvajon) è una di quelle a massima resa. Se poi sul palco sale uno come Luca Barbareschi, che poco ha da invidiare ai suoi illustri predecessori come Alberto Lionello (a teatro) e Ugo Tognazzi (al cinema), l’equazione è completa. Va bene, Chiara Noschese non arriva a Valeria Valeri (Monica Vitti non la nominiamo nemmeno, temendo l’ira funesta della divinità della recitazione) e Margherita Laterza non ha il vezzo sciocco di Barbara Bouchet (ma il suo lato B però è sull’Olimpo della fortuna), ma la serata vola via veloce e in più di un’occasione si sorride con gusto, siamo onesti.

La Pergola di Firenze, che ospita la commedia in prima nazionale fino al prossimo 27 novembre, risponde con solerte partecipazione, anche a fronte di circa tre ore di spettacolo (con intervallo compreso). Ed è questo il dato teatrale più importante, probabilmente: i tempi sono classicamente teatrali, poco televisivi, come la trama, che si sviluppa attorno alla brillantezza del protagonista, abile a rincuorare la sua donna tradita sistematicamente e mai considerata nel suo ruolo di compagna di vita e infingardo, quasi cinico, nell’usare la propria segretaria a fini di piacere effimero e carta di rivalsa. Anche Gianluca Gobbi - l’amante di Lisa Ferrari, la moglie di Gilbert, esasperata dalla distrazione alcolica del marito e che vede nel ricchissimo ma ordinario russo l’ancora del suo riscatto -, risponde alla perfezione alle esigenze della rappresentazione, che accorpano anche la sinuosità della giovanissima Margherita Laterza (senza tatuaggi, meravigliosa n.d.r.), una sguaiata ciociara con un neurone libero di far danni che sta scalando con abiti succinti e curve da paura i piani alti della casa editoriale dove è stata assunta solo e soltanto per manifesto sex appeal e il cameriere, Ernesto Mahieux, che avremmo scommesso napoletano. Gli ingredienti ci sono tutti, insomma: basta avere la pazienza e l’accortezza di miscelarli al meglio e Luca Barbareschi, un decano scanzonato della commedia, sa come usare il frullatore, tenendo sotto controllo ogni possibile eccesso, anche a scapito di qualche fuori copione che in alcuni momenti, forse, non avrebbe guastato. Ed è profondamente inutile, adesso, fare il processo alla commedia anni ’70, maschista e maschilista oltre ogni ragionevole sproposito: siamo cresciuti con quella comicità che è diventata nel tempo la colonna sonora della nostra esistenza e ne stiamo pagando le conseguenze, sia a teatro che nella società.
