di Luigi Scardigli

PISTOIA. E’ una storia vera, si vocifera, quella sulla quale Gli Omini hanno messo in piedi il loro ultimo spettacolo, Più carati, mostrato in settimana in anteprima al piccolo teatro Bolognini agli studenti e in serata, oggi e domani (19 e 20 novembre), al pubblico pagante. E che ricorda, maledettamente e fortunatamente da vicino, tutto quello fatto fino ad oggi dalla compagnia nei loro primi dieci anni di vita, da CRIsiKo! fino a Ci scusiamo per il disagio, ma senza omettere nulla di quello che è successo nel mezzo, tra la ricerca di linguaggi autoctoni e le loro più fertili smagliature, fino all’esaltazione di una risposta surreale – e mai data - a tutti gli interrogativi generazionali che stritolano i trenta/quarantenni di ogni epoca. Stavolta, a sconvolgere i precarissimi equilibri deontologici e deambulatori dei tre amici in cerca di qualcosa che riesca a farli emergere dal grigiore di una infinita rincorsa alla felicità, un gruzzolo di soldi e uno smeraldo (di dodici carati) trovati per caso nel primo pomeriggio di una giornata tipicamente autunnale, dentro una busta, sotto il bancone del bar Gigli, a Firenze, in piazza della Repubblica.
Le dinamiche tragicomiche di questo ultimo lavoro rispecchiano fedelmente - ancora coprodotto con l’Associazione teatrale pistoiese, che ha dato loro residenza e tanta solidarietà - il linguaggio e la sintassi di quelli già portati in scena, compresi i ruoli dei tre mattatori: Francesca Sarteanesi è anche stavolta la lucida, sadica sognatrice, ad occhi aperti, della compagnia, punto di mezzo, ondivago e inaffidabile, tra la flebile ragione della saggezza di Luca Zecchini, corrompibile con estrema facilità e la commovente passione, venata di astio, rancori, ma soprattutto tenerezze, di Francesco Rotelli, quello che del gruppo gode e soffre i diktat familiari. Sperimentata e vincente è anche la linea di rottura, piccoli black out in agguato, che sembrano essere sistematicamente sul punto di mandare in aria il resto della trama e l’intero spettacolo. Come lo slang, del resto, un italiano strascicato con simpatia che si affida al dialettismo solo quando è indispensabile, solo quando il toscanesimo, seppur così simile all’idioma nazionale, rende perfettamente e intraducibilmente l’idea. Senza dimenticare la loro documentata scorrettezza politica, riassunta per sintetizzare questa goffa truffa, nell’effige, verde, di Bettino Craxi, disegnata dall’artista Marco Biffoli e che spadroneggia sulla brochure. E quel pizzico di saudade, quella tristezza che si manifesta con sorrisi infantili e goffi e quella felicità che si materializza in bronci adolescenziali e lacrime di ogni generazione. Questi sono Gli Omini, questi erano e questi – ma non ci permettiamo il lusso di indicare loro il futuro – probabilmente saranno, supportati, dietro le quinte, dalla sempiterna Giulia Zecchini e, nell’occasione, anche da Armando Pirozzi. Rispetto al disagio ferroviario, con questa inaspettata fortuna Gli Omini hanno probabilmente preferito allontanarsi dalle vene scurrili e accidiose per cercare di dare, alla trama, una rinnovata potenza espressiva, che stavolta si è addirittura affidata al linguaggio del corpo; le braccia e le mani di Francesca, lo stiramento alla spalla di Luca, l’elegante deambulazione di Francesco. Anche il tragicomico, penoso e disdicevole risvolto della falsa amicizia, che si manifesta in tutta la sua cattiveria alla prima difficoltà, è goliardicamente rappresentato e contemplato dalla nuova scrittura. Come la scenografia, che resta poverissima, minimale, immutabile, statica; il tempo, del resto, non scorre mai: il tempo è già passato e loro sono arrivati puntualmente in ritardo, nonostante se ne siano già voluti scusare. La tensione, in compenso, è quella degli esordi e non solo di un esordio. Il Bolognini è pieno: lo spettacolo inizia con mezz’ora di ritardo rispetto all’orario del cartellone, però; dipende dal pubblico, notoriamente maleducato; qualcuno arriva tardi. Non sanno che uno spettacolo è come un treno, che salvo contrattempi, all’ora X, parte, senza portare in carrozza i ritardatari, anche quelli provvisti di biglietto. Gli Omini, comunque, ne hanno approfittato: si sono ripassati le ultime battute, si sono derisi l’un con l’altro e si sono consolati pensando che stavolta, l’ansia, sarebbe durata appena cinquanta minuti, giusto il tempo di trovare una busta per terra piena di soldi e un anello e restituirla, con tutto quello che c’è dentro, al legittimo titolare, una vecchia merdona.
