di Luigi Scardigli

FIRENZE. Il sodalizio artistico merita una riflessione approfondita, perché se affidiamo le idee, geniali, di un piccolo grande autore, Emanuele Aldrovandi al camaleontismo scenico, fonico e gestuale di un piccolo grande regista/attore, Ciro Masella, l’equazione teatrale non può passare inosservata. Il Generale, sul palco del teatro di Rifredi, a Firenze, da giovedì 1 a sabato 3 dicembre, è idealmente il frutto di questa commistione e il pubblico che adora lasciarsi infilzare dal nuovo che avanza, è stato abbondantemente ripagato.
A iniziare dalla scenografia di Federico Biancalani, che ha trasformato un quartier generale bellico, riconoscibile da una scrivania e una poltrona roteante, con tanto di telefono fucsia per i contatti diretti tra il generale e il Presidente, il tutto protetto da un fungo atomico, che ha l’aria di essere un ombrellone a raggi ultravioletti, ma anche di un avveniristico macchinario abbronzante, in uno studio psicanalitico, dove un tenente e un soldato donna si sforzano di capire e combattere, rispettivamente, la cinica e sadica lungimiranza del generale, che pare un avventuroso e filosofico mimetico, dall’aria pacifista e dall’epilogo doppiogiochista. Ciro Masella non smette di sorprendere, salire, crescere, affinarsi, giocando ormai, quasi cinicamente, con le proprie facoltà vocali, mettendo a repentaglio le proprie angolazioni espressive e rendendo visibile e riconoscibile, tragicomicamente, ogni sua interpretazione. Una perfetta incarnazione della volontà dell’autore, il giovanissimo reggiano Emanuele Aldrovandi, che a soli 31 anni ha già inanellato e incantato, con i suoi scritti multiformi e profondi, il pubblico più attento. Le citazioni, ovviamente, anche sagomatiche, visto che siamo nel campo chapliniano de Il grande dittatore e in quello coppoliano di Apocalypse now, non possono mancare, come le visioni metafisiche, o le allucinazioni, se preferite, attraversando, in ogni punto cardinale, le folli perversioni della logica della guerra, soprattutto di quelle recenti, che sono sistematicamente generate da un’insana e non ancora compresa voglia di opinabile regolamentazione. I selvaggi da sconfiggere, per poi educare, dunque addomesticare, anche se ogni tanto si permettono il lusso, nella loro manifesta e plateale inferiorità, di ferire qualche angolo della nostra civiltà, sono, contemporaneamente, carne da macello e merce incredibile di scambio, tanto per giustificare anomale missioni di pace con l'immancabile annessione di bombe intelligenti al seguito, ma anche materiale umano sul quale fare leva per (ri)costruire la civiltà dei millenni che verranno. In questo controverso, inestricabile, perverso e doloroso contesto egotico attorno al quale si muovono tutti i tenenti e i soldati semplici indispensabili alla realizzazione del grande piano di evacuazione e ripopolazione, in un gioco, incomprensibile, di vittime e carnefici, Ciro Masella esalta le proprie doti attoriali, affina l’acume registico e fortifica, perché no, quella sua tendenza centripeta - teatrale, dunque artistica, di manifesta, comprensibile e incruenta, e per noi spettatori, adorabile - di meraviglioso e dispotico mattatore.
