
FIRENZE. Non mancherà occasione di rivederli all’opera, i Tre uomini e una culla, o i Tre ragazzi e una bimba, come recitava il biglietto dello spettacolo che ieri sera, prima delle sette repliche, ha ufficialmente aperto il capodanno al teatro di Rifredi, a Firenze. Siamo davvero curiosi di vederli ancora, ma su altri copioni, con altri testi e con un plot del tutto diverso, perché nonostante le risate che hanno accompagnato la rappresentazione, a noi non hanno divertito affatto. Peccato, però, perché non si tratta di tre, anzi, quattro dilettanti allo sbaraglio.
I loro rispettivi background parlano di scuole e selezioni, studi e discipline rigorose, polivalenze artistiche non certo usuali, ma abbiamo davvero l’impressione che il meglio, tutti, non lo diano cercando di suscitare ilarità. Anzi, è forse il caso di fare una precisazione, perché Alessandro Riccio, che è la portiera dello stabile, il carabiniere, il tossico/punk, la madre di Marco, la madre delle piccola Maria, la tataLucia, è forse l’unico, del cast, a non farsi problemi, scrupoli; gli altri tre (Andrea Bruno Savelli, che firma anche la regia, Alessanro Riccio e Lorenzo Baglioni) sembrano essere tutti un po’ troppo vittime del proprio fascino e nessuno dei tre impenitenti scapestrati donnaioli, che riscuotono successi e seminano cuori infranti da regista, cantautore e vignettista, riesce a calarsi nel ruolo e nei panni di papà all’improvviso. La storia è nota ed è quella portata sul grande schermo francese da Coline Serreau nel 1985, un successo a suon di riconoscimenti che indusse i cugini americani, due anni dopo, a farne il sequel con Tom Selleck e Steve Guttenberg. Ma la vicenda parigina, trasferita negli States, a Firenze funziona davvero meno. O forse non funziona come avrebbero desiderato perché i tre scapoli non si lasciano mai andare e in più di una circostanza, se avessero sciolte le briglia e si fossero lasciati trasportare dal crasso vernacolo, il risultato, a nostro avviso, sarebbe potuto essere migliore. Però siamo curiosi di vederli in altre faccende teatrali affaccendati, perché non vediamo l’ora di smentirci.
