di Luigi Scardigli

FIRENZE. A settembre, il mare, certe volte è più bello che in agosto. Soprattutto pensando che le ore più fascinose, quelle del tramonto, te le puoi gustare senza ansie: quando il sole fa pluf, nel mare, oltre la linea dell’orizzonte, si può anche rincasare, per preparare la cena. È così che Alvaro (Marco Natalucci), sposato da trent’anni con Mara (Beatrice Visibelli), cerca di convincere la moglie che decidere di consumare le vacanze in settembre non è solo parsimonioso, ma anche conveniente. I marziani al mare (dieci anni dopo), della Compagnia Teatri d’Imbarco e Pupi e Fresedde, scritto da Alberto Severi (ieri in sala emozionato e tragicomicamente divertito come la prima volta) per la regia di Nicola Zavagli, si giustifica così, con questa vacanza povera, con gli ombrelloni ormai quasi tutti chiusi, su quella spiaggia bianca, quella di Vada, a sud di Livorno, la perla italobelga del Tirreno settentrionale.

Una spiaggia resa candida dai malefici chimici della Solvay e non certo dalla magia di incomprensibili flussi atmosferici. Mara e Alvaro ci si trovano l’11 settembre 1973. Proprio quel giorno, dall’altra parte del mondo, che poi non esiste un’altra parte del mondo, in Cile, per la precisione, il generale Pinochet, con un colpo di Stato, rovescia la democratica presidenza Allende; la guerra fredda, fino ad allora ventilata, diventa realtà. Ma Mara e Alvaro, lei cattolica e lui comunista, non parlano del Palacio de La Moneda, né di quello che sempre in quello stesso identico giorno, ma 38 anni dopo, succederà a New York, con gli aerei dirottati sulle Torri Gemelle, con la guerra fredda finita da un pezzo, però. Mara e Alvaro sono una moglie e un marito modesti, fiorentini purosangue: lei è un’anziana casalinga, letteralmente disabituata alle minime attenzioni, serva devota del proprio consorte e delle sue immotivate paturnie; lui, ex autista dell’Ataf in pensione, che nonostante l’età, il vizio di correre dietro alle donne non vuol perderlo. Sullo sfondo la loro unicogenita, una ragazza esuberante, che dopo qualche pasticcio tipicamente generazionale, ha deciso di andare a vivere a Londra: fa la fotografa (che lavoro sarà mai, il suo) e come se non bastasse, si è anche fidanzata con un negro. La rappresentazione, che si replica dieci anni dopo la vernissage di Nico Garrone coprodotta dal Festival di Radicondoli fino al prossimo 15 gennaio al Teatro delle Spiagge, a Firenze, a due passi dall’isola Don Santoro, è un esemplare spaccato socio temporale, un lungo sketch teatrale nel quale si affrontano una miriade di vizi pubblici e virtù private, un andirivieni di macabra ironia, un susseguirsi di ironici sadismi, che assumono la fisionomia di un album fotografico ingiallito, dove in molti, prima o dopo, non potranno che riconoscersi. Mara, scarsamente alfabetizzata, è disposta a perdonare tutto al proprio marito: ogni distrazione, tutte le intemperie, corna a ripetizione comprese. Alvaro, che sa tutto di calcio, motori, bricolage, donne e i cognomi dei dirigenti del Partito, frustrato da un lavoro scarsamente retribuito e da una vita costellata da rinunce, è ormai inseparabilmente legato alla propria consorte, ma per un’inspiegabile accezione routinaria, che mortifica qualsiasi elemento primario di affetto. La tracotante apatia dei coniugi, che si manifesta nella bulimia della moglie e nella nevrosi del marito, proprio in quella tarda estate del 1973, alle spiagge bianche di Vada, vive un incredibile imprevisto incrocio, scatenato dalla vicinanza, d’ombrellone, di Pierluigi, un giovane intellettuale comunista che riuscirà a far avvicinare Mara alle teorie marziane e a far vacillare, fino al tracollo, l’incorruttibile machismo di Alvaro. Beatrice Visibelli e Marco Natalucci incarnano alla perfezione i commoventi profili dei protagonisti, esaltandone le rispettive goffaggini, che si materializzano nell’ineleganza dei movimenti e nel frasario e caotico fraseggio. Teneri, i loro incedere: nell’incomprensibile ascolto delle canzoni di David Bowie e dei Pink Floyd, nella cassetta spedita e registrata loro dalla figlia, come nell’imbrutimento alimentare delle leccornie untuose e grasse consumate sul tavolinetto pieghevole portato in spiaggia. Mara, da sempre, crede e aspetta che sarà una navicella spaziale, evocando Eugenio Finardi, condotta da marziani, a salvarla dal proprio anonimato e regalarle finalmente il sorriso; Alvaro, invece, dovrà ricredersi circa la propria integrità sessuale e solo di fronte al dramma che sta per consumarsi riuscirà, nei confronti della sua Mara, a mostrarle, per la prima e unica volta, un sentimento più vicino al terrore della solitudine, che all’umanità, che all’amore.

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