di Luigi Scardigli

FIRENZE. Stefano Benni è semiserio di professione, quasi sempre geniale, politicamente molto scorretto, che contiene a stento la propria blasfemia, mai scontato. Per il suo Pecore nere, che da giovedì fa tappa al teatro di Rifredi, a Firenze, si è affidato a quattro attrici effervescenti, con le bollicine, che rendono perfettamente l’idea del salone dell’ospizio nel quale la vecchia Ida (Emanuela Guaiana) è stata parcheggiata dalla figlia. Ad accudirla, in una delle tante sere maledettamente uguali alle precedenti e certamente simili alle future, un’infermiera (Valentina Chico), che la lascia per qualche minuto in compagnia della sola televisione, dalla quale, per magia, uscirà la protagonista di una soap latino americana (Elisa Benedetta Marinoni), alla quale si unirà, in questo concistoro rigorosamente femminile, un’ape operaia (Valentina Virando) e una cagna (labrador, ancora Valentina Chico).
Un’ora, gradevolissima, a ritmi serrati, parecchio musicale, con la band che osserva, a turno, gli assoli delle strumentiste. Inizia la diva del piccolo schermo, che in lacrime per la scoperta del tradimento del marito ripercorre le tappe delle sue ansie sessuali compulsive e snocciola le sfumature dei suoi numerosi amanti, tutti occasionali; la segue l’ape operaia, che difende il ruolo e la funzione oscura della categoria, esaltandone soprattutto la chiave politica di stagioni ahinoi seppellite, fino ai tormenti della labrador, cagna atipicamente un po’ anarchica, che dopo un’infanzia caotica e maleodorante, ma costruttiva, si ritrova a dover assecondare le assillanti attenzioni dei propri padroni, che la amano come lei non gradisce affatto. Un vortice gradevole di situazioni surreali nelle quali le quattro femmine si ritroveranno e si scopriranno solidali l’una con l’altra, soprattutto quando renderanno parola e movimento alla vecchiaccia relegata nell’ospizio, che stanca della propria solitudine ha deciso di disobbedire anche alla propria dignità. Eppoi brave, brave davvero, ognuna a incarnare la fauna rappresentata, i vizi, le virtù e a dare coralità concertistica alla trama, un groove sottolineato, al termine della rappresentazione, dai rumorosi applausi del pubblico presente, felice di aver sfidato e vinto il torpore dell’immobilismo suggerito dalla rigidità delle temperature. Una storia grottesca, riconducibile a oggi, ma anche a ieri e sicuramente a domani, soprattutto perché l’aria che tira e che si respira non lascia presagire nulla di buono e si ha sempre più netta l’impressione che le cose, anche quelle incontrovertibili della natura, resteranno così come sono, con le sue a volte detestabili ma insovvertibili leggi. Stasera, sabato 14 gennaio, terza e ultima replica: lo spettacolo, con un pubblico europeo e dunque puntuale, inizia poco dopo le 21; poco dopo le 22 finisce. Avete il tempo di aspettare che le quattro protagoniste, ricompostesi nei camerini, si presentino nel salone del teatro; lo potete fare sorseggiando un the caldo, ad esempio, che non guasta davvero, per poi complimentarvi con loro e uscire per andare incontro alla noche del sabato, dove incontrerete, non è da escludere, una labrador che gradirebbe stare ancora fuori a cacare ovunque, un’ape nascosta in attesa della stagione più calda per assicurare il ciclo vitale dell’impollinazione e una divetta dei rotocalchi abbandonata dal proprio compagno. Per vedere una vecchiaccia, invece, dovreste andare direttamente in un ospizio, dove ce ne sono molte, incollate davanti ad una tivvù, con il telecomando tra le mani tremolanti, che aspettano solo di morire.
