di Luigi Scardigli

PISTOIA. La rilettura goldoniana de La locandiera è audace, a onor del vero, ma siamo disposti a concedere qualsiasi divagazione sul tema, anche a costo di voler sembrare e sembrare poco obbiettivi, perché stavolta ci prendiamo il lusso di concentrarci solo e soltanto sulla mattatrice, Laura Morante e tralasciamo tutto il resto. Che merita attenzione, commenti, dubbi, distinguo, valutazioni, oggettive e soggettive, tutte cose che passano, letteralmente, in secondo piano. E non ce ne voglia, ad esempio, Danilo Nigrelli, l’ospite inatteso e strategico; Bruno Armando e Vincenzo Ferrara, i due impresari sinistri invitati per chiudere l’affare; Giulia Andò e Eugenia Costantini, le due escort al seguito, né Roberto Salemi, il contabile sacrificato dalla sua silente vecchia passione. E nemmeno il regista, Roberto Andò, che ha giustamente approfittato della poliedricità recitativa e della bellezza giunonica di Laura Morante per farle riindossare gli abiti di Mirandolina.

E sguinzagliarla tra i meandri di questa Locanda, divenuta, in questi quasi due secoli di storia, un B&B in attesa di licenze, consegnandole un influsso dialettale tardo aretino che chiunque, ieri sera, alla prima del teatro Manzoni di Pistoia (si replica stasera, sabato 21, alle 21 e domani, alle 16) ha stentato a comprenderne l’utilità, anche valutando con attenzione l'originaria ambientazione goldoniana del casato fiorentino, fusa a confusa con le origini grossetane della Morante. Perché stavolta va bene lo stesso, perché al Manzoni di Pistoia, in questo fine settimana, va in scena un’Attrice e una Femmina con la a e la f maiuscole, una donna di una bellezza chimica imbarazzante, che porta a spasso con una leggerezza disarmante i suoi 61 anni, che riesce a incarnare, in un solo giro di lancette, la naturale inclinazione civettuola e la fatica del fascino, l’humor inglese e il noir francese, la semplicità e la macchinazione. L’unica traccia seduttiva rispetto al testo originario di Goldoni, Andò la consegna all’incipit; tutto il resto è fortemente riadattato, contestualizzato, sventrato nelle viscere, ma in fondo riconsegnato alla stesura originaria del 1753 e alle sue devote onorificenze e suggerimenti, quelle consegnate all’Ars amandi di Ovidio e quelli offerti alla Comédie humaine di Honoré de Balzac. La rappresentazione, però, scorre veloce e piacevole, non solo perché Laura Morante, dal cono di luce del palco, non esce quasi mai, salvo in qualche rara occasione nella quale, il desiderio più grande, è di vederla ricomparire al più presto. Le dinamiche in realtà sono gradevoli, veloci e puntualmente comprensibili; il thriller e la suspense costantemente assicurati, anche se dissacrati e resi accessibili anche ai facilmente impressionabili dalla sistemicità umoristica, tutta inglese e veneziana, della trama, dove la futura locandiera gioca un ruolo a elastico particolarmente efficace. Perché Laura Morante incarna tutto quello che si può desiderare in una donna, non solo dalla prospettiva eterosessuale: quella bellezza disarmante, seppur familiare, quella intrigata semplicità, quel fascino indiscutibile che poggia, sicuro, l’intero scheletro su una donna che ha saputo coltivare, al cinema come in teatro, ma soprattutto nella vita privata, il proprio tempo.

Pin It