di Luigi Scardigli

LAMPORECCHIO (PT). La platea del teatro di Lamporecchio si sta velocemente riempendo. Nella sala, nonostante gli spettatori ci arrivino incappucciati per proteggersi dal freddo intenso che sibila sotto un cielo stellatissimo, si ode il ticchettio della pioggia. La fedeltà alla pellicola di Roman Polanski, Venere in pelliccia, a sipario ancora chiuso, è immediatamente certificata, ma Valter Malosti, il regista, che poi dividerà il palco con una straordinaria Sabrina Impacciatore, ha voglia di andare oltre e non si accontenta dell’elastico vittima-carnefice che anima l’inaspettato incontro tra l’adattatore del romanzo di Leopold von Sacher-Masoch e Vanda Jordan, una borgatara metropolitana doc che aspira a fare l’attrice e che vuole il ruolo di Wanda Von Dunayev a tutti i costi.
La trama degli intrighi, dei bruschi e repentini capovolgimenti di fronte, delle verità malcelate, delle menzogne manifeste, dei doppi giochi e doppi sensi che si rincorrono famelici sul palco è nota e già sperimentata. Valter Malosti, però, sulla sexy comedy, aggiunge qualcosa di interessantissimo, approfittando soprattutto della versatilità della protagonista, Sabrina Impacciatore, sulla quale ci eravamo già espressi con inaspettato entusiasmo un paio di anni fa, quando sempre per l’Atp, ma al teatro Montand di Monsummano, sempre in provincia di Pistoia, dette vita a uno struggente monologo, quello cucitole su misura da Valerio Binasco, che le affidò le confessioni omicide di È stato così. E anche ieri sera, domenica 22 gennaio, per il battesimo della nuova stagione teatrale di Lamporecchio, la quasi cinquantenne metropolitana non ha minimamente tradito le attese, dando vita ad un dentro e fuori da i suoi due personaggi con meravigliosa naturalezza: il primo, quella dell’aspirante attrice che ha fatto mille peripezie per giungere, con quattro ore di ritardo, da Tor Bella Monaca fino nella sala delle audizioni, rappresenta l’inconfondibile marchio di fabbrica delle periferie metropolitane, dalle quali ha saputo sgattaiolare, senza perdere slang, movenze e profili, frequentando - e qui entra in scena Sabrina Impacciatore remix -, l’Actors Studio di New York e quello di Roma. Una borgatara straordinaria, volgare, ammiccante, abituata a monetizzare o qualificare curve e disponibilità, che ha visto quello che voi sapienti non potreste nemmeno immaginare, ma che al semplice schioccare delle dita si trasforma letteralmente, pur rimanendo in biancheria intima pseudo sadomaso, in una strepitosa attrice, giocando con il partner-regista la commedia dell’autoscontro, animando, con crescente disinvoltura, il pathos misterioso ed enigmatico della commedia e arricchendola con una misurata dose di irresistibili facezie e scurrilità. Esaltando la perfetta conoscenza del proprio corpo, nella piena e lucida consapevolezza delle sue virtuali innumerevoli possibilità di successo, senza però conceder loro la precedenza; una freccia in più, nella faretra, che continua a portarsi sulla schiena con eleganza e senza sforzi, nella consapevolezza che, ora che a Tor Bella Monaca non ci abita più e che le audizioni sono finalmente terminate, Vanda Jordan possa reimpossessarsi del suo cognome originario, Giordano e che gli abiti comprati a Porta Portese, a cinque euri, per trasformarsi in Wanda Von Dunayev, possano restare, sgualcendosi e impolverandosi, nel borsone. Senza nostalgia.
