di Luigi Scardigli

PISTOIA. La tentazione sarebbe quella di esordire raccontandovi che attorno al piccolo teatro Bolognini e dentro, ieri sera, 26 gennaio, la logica dell’(in)sicurezza ha voluto che con gli spettatori, a vedere Fa’afafine, lo spettacolo destinato alle scuole ma che l’Atp ha intelligentemente proposto anche agli adulti, ci fossero agenti di Polizia e Carabinieri pronti, eventualmente, a intervenire. E invece, dimenticando volutamente la cronaca, ci concentriamo sullo spettacolo e vi raccontiamo che cosa è stato, e cosa speriamo che diventi, Fa’afafine: un invito, un consiglio, una forma mentis, un suggerimento; la normalità. Basta, ora basta; non se ne può davvero più di dover usare le pinze per parlare di omosessualità. Perché da quando esiste il mondo, nel primo cosmo dell’infanzia, ci sono i bambini, le bambine e i fa’afafine, che poi crescono e diventano uomini, donne e fa’afafine.
Così è stato, così è e così sarà. Per sempre, ringraziando il cielo. La differenza si genera per qualità: onestà, rispetto, tolleranza, correttezza e, da ultimo, ma che viene prima di ogni altra cosa, amore. E i nostri figli, ogni nostro figlio, è potenzialmente un fa’afafine e non dobbiamo aspettare una lettera della Preside, che ci convoca per parlarci degl’anomali comportamenti del nostro ragazzo a scuola o che lui, improvvisamente, una mattina, invece che vestirsi per essere accompagnato a scuola, decida di chiudersi a chiave nella propria cameretta e organizzare, con i suoi pupazzi, la sua fantasia e il suo mondo, un viaggio verso Samoa, l’unico posto al mondo dove i fa’afafine, i bambini-bambine, sono felici di essere così. Michele Digirolamo, il protagonista dello spettacolo, scritto e diretto da Giuliano Scarpinato, prodotto dal Teatro Stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia e il Teatro Biondo di Palermo, impreziosito da una scenografia falsamente cartonata, ma con geniali spunti tridimensionali, nei quali spiccano il regista e Gioia Salvatori, che sono zoommati dalla serratura, ne ha dato una versione tenerissima, poetica, tragicomica, distribuendo sorrisi e amarezze, smorfie e considerazioni. Perché Alex è uno di noi: siamo noi, è il nostro miglior amico, è nostro fratello, ma soprattutto, è nostro figlio. E a nostro figlio non dobbiamo, perché non possiamo, insegnare nulla: i figli osservano e cercano di riprodurre, in scale contestualizzate, quello che noi genitori mostriamo loro. E siccome le nostre passioni, le nostre voglie, i nostri slanci sono insindacabilmente figli della chimica che regola il nostro dna, noi genitori abbiamo solo un dovere: insegnare a imparare (cit. Eugenio Finardi). Un lavoro certosino, minuzioso, dettagliato, che solo tra chissà quante generazioni, se iniziassimo almeno ora, se ne potranno raccogliere i frutti. Le risposte, come suggeriva Mao Tze Tung, ma anche Corrado Guzzanti, ad essere onesti, sono dentro di noi; spesso, però, sono quelle sbagliate. E allora, sforziamoci di non pontificare la nostra eterosessualità e facciamo i conti con i fa’afafine, senza organizzare viaggi transoceanici e transculturali; in attesa di vedere il miracolo compiuto, però, consigliamo a tutti quelli che non vogliono farsene una ragione, quanto meno di arrendersi: la civiltà, la storia e l’umanità non hanno tempo per aspettare, vanno avanti lo stesso, anche senza il contributo dei più nerboruti e villici detrattori, spaventati dall'idea che nel mondo, oltre agli uomini e alle donne, possano trovar posto anche i fa'afafine. Ed essere felici.
