di Luigi Scardigli

PISTOIA. Con il tempo, il cannibalismo pasoliniano, si sarebbe dovuto alleggerire. E invece – a conferma delle supervisioni del più grande intellettuale italiano del secondo dopoguerra, ucciso quarant’anni fa da un complotto ordito nei minimi dettagli -, proprio il tempo gli ha sancito il più grande attestato: l’immortalità. Un’eternità violentissima, cruenta, senza scampo, senza vie d’uscita, senza salvezze, un inesorabile inabissarsi nella melma della società borghese, dalla quale è forse praticamente impossibile astrarsi. Il 25enne Julian Klotz (Francesco Borchi) è la vittima sacrificale, la conferma e Porcile, nuovo appuntamento della stagione teatrale del Manzoni di Pistoia (si replica stasera, 28 gennaio, alle 21 e domani, alle 16), per la regia di un sorprendente Valerio Binasco, la sua ideale ambientazione.

Una lettura difficilissima, complicata, avvicinata agli undici atti originari scritti e portati in scena nel 1966, da un sipario trasparente che ricalca, fedelmente, il tempo scandito e l’indifferenza del protagonista nei confronti dell’amore, acerbo e rivoluzionario, di Ida (Elisa Cecilia Langone), molto più giovane di lui, ma gradita dalla sua famiglia borghese. Le paure della critica di allora, che provarono a rallentare l’oceanica devastazione intellettuale degli scritti di Pasolini, si sono poi puntualmente materializzate nei decenni successivi, consegnando al più lucido previsore e precursore dei tempi lo scettro della lungimiranza. Sul palco della rappresentazione pistoiese, prodotta dal teatro Metastasio di Prato, da quello Stabile del Friuli Venegìzia Giulia in collaborazione con Spoleto Festival dei Due Mondi, un cast eccellente, reso spumeggiante dalla folle sudditanza e stravaganza della signora Klotz (Valentina Banci) e dal sadismo del vecchio compagno di ginnasio, oggi nemico industriale, Herdhitze (Fulvio Cauteruccio), che si è sottoposto ad una plastica facciale per non essere riconosciuto come uno dei più fedeli servi del regime nazista, ma che conosce i vizi inenarrabili di Julian Klotz, segreto questo che lo porterà a poter fondere la sua modesta fabbrica con quella decisamente più importante e imponente del suo rivale. Una serie interminabile di compromessi, di ripugnanti falsità, che si consumano sullo sfondo del dramma del giovane Julian, incapace di sovvertire l’ordine, ma anche di subirne l’accecante fascino e proseguirne la scia, un totale scollamento dai tempi e dalle sue dinamiche che troverà ristoro e umanità solo in quel Porcile, che si trasformerà poi nella sua più infamante ultima e tragica dimora, epilogo incommentabile svelato non ai genitori, ma al nemico giurato del padre, divenuto nel frattempo suo prezioso socio in affari e amante della moglie, che, rassicurato dai testimoni, umili braccianti emigrarti dall’Italia meridionale, sulla scomparsa di una qualsiasi benché minima traccia, ordina, a questi ultimi, il silenzio. Nel ricucire questo mosaico di dinamiche esistenziali, concedendo agli spettatori il lusso della totale percezione della consecutio temporale e umorale, sta tutta la maestria di Valerio Binasco, capace di immergersi nel pensiero pasoliniano, riadattarlo in cento minuti e consegnarlo così, ai posteri, con la solita identica sottilissima violenza, quella che fotografa l’uomo, la famiglia e la società con tutti i loro inconfessabili sadismi, quelli grazie ai quali il mondo riesce a trascinarsi verso il suo più totale abbrutimento.

Pin It