di Luigi Scardigli

PRATO. Scritto da Michele Sinisi, con Francesco Asselta e, in ordine alfabetico, con Diletta Acquaviva, Stefano Braschi, Gianni D’Addario, Gianluca Delle Fontane, Giulia Eugeni, Francesca Gabucci, Ciro Masella, Stefania Medri, Giuditta Mingucci, Donato Paternoster e Michele Sinisi. La regia è di Michele Sinisi, coadiuvato da Domenico Ingenito e Roberta Rosignoli; Federico Biancalani firma la scenografia, i costumi sono di Gdf Studio; Arman Avetikyan è l’aiuto costumista. Il testo, notoriamente leggendario, imperituro, eterno, è di Eduardo Scarpetta: la commedia è Miseria e nobiltà e quello che sono riusciti a riprodurre questo nugolo di professionisti citati uno ad uno è semplicemente sublime.
Certo, è un testo, sacro, che parla da solo da centotrentanni, ma lasciarlo al suo immutabile destino sarebbe stato delittuoso. Riciclarlo alla lettera, più che ardito, sarebbe stato inutile e dannoso; allora, mettiamoci a lavoro e vediamo cosa si può fare: tutto, a patto che chi sale sul palco e chi guida questo stuolo di Attori, tutti con la A maiuscola, abbia l’umiltà, la forza, la volontà e la professionalità per spogliare un Principe del genere e rivestirlo senza indignarlo, anzi, soddisfacendolo, fino a rinata bellezza. E Felice Sciosciamocca non se ne avrà se nella sua commedia eterna Michele Sinisi abbia voluto metterci, per omaggiarla e rinnovarla, altre pagine memorabili di altri appuntamenti imprescindibili dell’intrattenimento non necessariamente teatrale, una contaminazione autentica, spudorata, che parte da lontano, dalle maschere di Scarpetta fino a Totò, per arrivare a una dotta impresaria della lingua, Emma Dante, passando dalla meravigliosa coppia Troisi-Benigni e senza dimenticare le nobili, ma intransigenti e affatto accomodanti riletture di Antonio Latella. La storia originaria non cambia di un paragrafo e si rincorre per tutta la rappresentazione a velocità disarmante. La guida semantica non è il napoletano, ma non perché il pugliese si capisca con meno difficoltà rispetto al partenopeo, ma perché Michele Sinisi viene da quelle parti e la sua Miseria e nobiltà doveva sbarcare sul Tavoliere perché se la sentisse sua fino in fondo, portandosi dietro addirittura altri slang, come il milanese figuratevi, passando per un aretino che strizza l’occhio al metropolitano, internazionalizzando così un’opera che proprio ieri pomeriggio, 2 aprile, al Fabbricone di Prato, ha chiuso una tournée partita da Milano alla fine di gennaio, facendo tappe, consacrate dall’universale riconoscimento del pubblico, in tutta Italia. Un’orchestra sintonica, che abbraccia tutti i teatri possibili e immaginabili: quelli antichi e mai sorpassati della parola, in trinoline, in vernacolo, in dialetto stretto; quello nuovo, che ha studiato il vecchio e ha deciso di non limitarsi a ricalcarne orme e contenuti; il teatro dell’avanguardia, che non ha bisogno di scenografia, come quello underground, che non necessita di comprensione diretta, logica, sostituendo al verbo la sua musicalità, alla sintassi, la melodia della poesia, con un rigoroso, pedissequo, rispetto del filo logico, che non va disperso, ma nemmeno abbandonato, neanche per un solo istante. Ne va la comprensione generale di un pubblico attento, certo, ma nemmeno intenzionato a scervellarsi per capire, disposto a farsi guidare anche per anfratti sconosciuti, a parte che lo si rassicuri, con dati e bilanci oggettivi, con la certezza della meta del viaggio, un arcobaleno di emozioni, suoni, ricordi e la consacrazione che il teatro non può morire e non morirà, certamente, se i sipari si continueranno ad alzare su queste dotte, umili, tassonomiche e ricche rielaborazioni affidate a combriccole di questo spessore professionale.
