di Luigi Scardigli

FIRENZE. Dobbiamo iniziare ad arrenderci al personaggio Alessandro Riccio. E non lo diciamo con l’alterigia di chi stenti a riconoscere di aver preso un abbaglio, ma nelle precedenti rappresentazioni teatrali, l’autore/attore fiorentino, seppur non mostrando mai il fianco alla possibilità di non essere preso nella debita e meritata considerazione, non ci aveva mai convinto. Ieri sera però, con il suo nuovo spettacolo, Sotto spirito, al Teatro di Rifredi, il suo neo-verismo è andato decisamente oltre ogni nostra ingiustificata diffidenza e al termine della rivisitazione della vita di Eusapia Palladino, la maga (?) pugliese naturalizzatasi napoletana che divise letteralmente l’Europa illuminista e scientifica del secondo ‘800 tra fervidi fautori e insolentiti detrattori, non possiamo che unirci al coro, sguaiato, ma colorito, di tutti quelli che in lui han sempre creduto.
L’aspetto comico, folklorico, cabarettistico continua a essere un ingrediente insostituibile delle scelte teatrali di Alessandro Riccio, ma le risate, anche se sono quelle che il suo pubblico vuole; meglio ancora se sguaiate e scomposte, iniziano a diradarsi. Al loro posto, una trama articolata, una scenografia ideale, un sovrapporsi di personaggi, voci, umori e situazioni parecchio sintoniche, anche se l’aspetto ludico e clownesco continua a tenere in ostaggio la sua vis narrativa, che vorremmo, ora che ha terminato la rampa di scale del gradevole anonimato, veder salire i prossimi dieci gradini, quelli che lo porteranno, senza meno, in un posto più consono alle sue capacità, forse a scapito di pienoni, ma con un giudizio, complessivo, meno parentale e che finalmente lo sprovincializzi del tutto. Con lui, in questo semiserio frullatore del salotto napoletano dove la maga Eusapia Palladino riceve i suoi clienti, l’amico Daniele Favilli, il complice della truffa e gli altri, da Piera Dabizzi a Maria Paola Sacchetti, megera, la prima, e sprovveduta contessa caduta in disuso, l'altra; Duccio Raffaelli e Jacopo Paradisi, tragicomico aspirante medium, il primo, incrollabile scienziato e strenuo difensore del primato scientifico, il secondo, fino a Sofia Busia, la piccola complice disposta a tutto pur di racimolare qualche soldo. Una storia riassunta e condensata in una clessidra capace di trascinare la sabbia da un cono al sottostante in cento minuti scarsi, raccontata in un convincentissimo napoletano, condita da sfumature milanesi, padovane e sicule, impreziosita da un risvolto ineludibile, quello della assurda, ma necessaria, necessità di confidare nei sogni, a volte anche nelle menzogne, a patto che ci consentano di riuscire a vivere con meno ansie, dandoci addirittura l’illusione di poter confidare con i nostri cari dipartiti, aiutati, in questa improba operazione, da una fattucchiera qualsiasi, anche meno famosa di Eusapia Palladino. E se è vero che del camaleontismo di Alessandro Riccio ve ne avevamo già parlato, se non ricordiamo male, siamo sadicamente responsabili e coscienti nel porre nuovamente l’accento sulla nostra velata diffidenza critica nei suoi confronti, che ieri sera, ribadiamo, ha subito una prova che non ammette più dubbi, né nuove attestazioni. E visto che abbiamo finalmente traghettato il fiume dello spettacolo e ci siamo potuti accomodare sull’altra riva unendoci a quelli che lo difendono da sempre, invitiamo Alessandro Riccio a compiere un altro piccolo grande sforzo: provare, almeno per una volta, a lasciare nel camerino tutte le sfumature dell’ilarità e concentrarsi, senza maschere, sulla rilettura di un contemporaneo, casomai proprio su Alessandro Riccio: se non dovesse funzionare, farebbe sempre in tempo a tornare sui propri passi, no?
