di Luigi Scardigli

BAGNO A RIPOLI (FI). Solo le favole si chiudono, abitualmente, con …e tutti vissero felici e contenti. Nella realtà, invece, le cose, vanno quasi sempre al contrario; per i portatori di disabilità, il quasi, è eufemistico. Con lo speaker di Isoradio in sottofondo e la pioggia che scroscia di fuori (due elementi che si appiccicano ai ricordi del pluripremiato capolavoro sul grande schermo), H come amore –prodotto da Tedavi ’98 - è una storia di queste, anche se la speranza che anche da noi, come altrove, dove la Chiesa non detta condizioni, un giorno il vento possa cambiare direzione ha spinto Alessandro Riccio, scrittore, regista e protagonista dello spettacolo che ieri sera ha chiuso le repliche al Teatro Antella di Bagno a Ripoli a indurre Halina (Gaia Nanni), una prostituta russa, a lasciare nell’appartamento, dove Stefano (Alessandro Riccio) vive con sua madre (Deanna Melai), la borsa piena di soldi pattuiti per la prestazione.

Anche Stefanino - anzi, Stefano, altrimenti si arrabbia - è affetto vagamente dalla sindrome del savant, proprio come Raymond, nel capolavoro di trent’anni fa, Rain man. Sul palcoscenico però, rispetto alla sala cinematografica, in ballo non c’è una fortuna da ereditare e un fratello cinico che si deve per forza di cose arrendere alla logica, surreale, della disabilità, ma solo una mamma, che ha finito per somigliare alle quotidiane stravaganze domestiche familiari e che desidera, con tutto il cuore e tutti i suoi risparmi, regalare al proprio figlio strano il diritto a soddisfare i propri desideri erotici. La commedia, anche se scende troppo spesso a patti con il buonismo, resta di ottima fattura, soprattutto per gli angoli del triangolo domestico scenico e per le loro notevoli interpretazioni: Alessandro Riccio si impossessa, con spudorata naturalezza, anche se a volte in modo troppo clownesco, della disabilità del suo Stefanino; così come la mamma, che non perde mai la pazienza – e questo non può essere vero –, incarna alla perfezione l’irreale condizione di convivenza e connivenza con una disabilità familiare. La prostituta, che appare cinica come la professione che svolge, si scioglie invece come neve al sole di fronte alla consapevolezza della particolarità del suo cliente, approfittando della paradossale situazione per rispolverare la memoria e i tragici ricordi di quando il padre la spinse alla vita, un aggancio con il passato che la induce a formulare l’equazione che quella notte, tempestosa e inaspettata, soprattutto per la cifra che potrebbe guadagnare, è bene regalarla al fato e alla speranza di un mondo migliore, per lei e per il suo inaspettato e particolare cliente. Considerevoli le incarnazioni di Alessandro Riccio e Gaia Nanni nei rispettivi personaggi: dalla deambulazione, scomposta e rigida di Stefanino, le sue paure, i suoi desideri, le fissazioni, la sindrome numerologica, una memoria ferrea, il classico irrigidimento delle dita delle mani, la postura dei piedi, l’espressione, sovente muta, ma stridente, di un viso in cerca di tenerezze, la rozza generosità, al cinismo di Halina, escort di cadetteria, con autoreggenti visibilmente smagliate, distratta dai propri fallimenti, alleggeriti da un corpo ancora desiderabile, una fluente chioma albina e quella pronuncia cantilenante, nasale, irritante, specialmente prima e dopo averle pagate, durante mai, che la fa somigliare a una qualsiasi altra puttana arrivata dall’Est liberato dal Comunismo e consegnato al Capitalismo. Su Gaia Nanni, che ha concorso al premio Ubu, non aggiungiamo altro, per inutile e inopportuna piaggeria, al suo considerevole talento: per Alessandro Riccio invece ribadiamo, con piacere rinnovato, il suo apprezzabile e considerevole camaleontismo teatrale. Con un briciolo di scorrettissimo cinismo, H come amore si consegnerebbe, automaticamente, alle cose da non perdere di un Teatro che cerca gli eredi di mostri sacri che vanno inseorabilmente incartapecorendosi.
