di Alagia Scardigli

PISTOIA. William Blake in vita pensò a scrivere e a disegnare per rappresentare le sue visioni. Probabilmente, se ci fossero stati mezzi adatti già a quei tempi, avrebbe anche registrato qualcosa di musicale o di visivo per i posteri. Ma, almeno questo, lo ha lasciato fare a noi. E, dunque, il nostro modo per omaggiarlo non può essere se non qualcosa che già è insito nelle sue poesie: musica, suoni, rumori, immagini. Nello spettacolo Blake EternalLife Show, prodotto dal Teatro del Carretto e scritto dalla coppia Pappacena/Vezzani, in scena ieri, 21 aprile, in prima nazionale al Funaro di Pistoia, vediamo all’opera quel che Blake ci ha lasciato per iscritto. L’obiettivo era dare voce a ciò che non poteva, all’epoca, essere tramandato in questo modo. E, così, due voci femminili (Elena Nenè Barini e Elsa Bossi) e due maschili (Giacomo Vezzani e Fabio Pappacena) cantano i versi del poeta visionario.

Lo fanno con leggerezza laddove regnano l’innocenza, la purezza delle creature celesti e terrene; lo fanno con una vena rock - a tratti sembra di sentire il candore e la rabbia di Eddie Vedder - dove Blake scrive sull’esperienza dell’essere umano, sul lato oscuro della Natura. Canto, chitarra, versi in italiano e in inglese (per rimanere, giustamente, fedeli al testo originale e per non tradirne la musicalità), disegni, tra cui gli stessi di Blake, creano un’opera omnia da Songs of Innocence and Experience. Omnia perché in queste canzoni il poeta inglese parla di un passato idilliaco, di una presente (e tuttora attuale) Londra inquinata, di infanti felici, di bambini sfruttati, di aiuti aulici, di fuliggine tra i capelli, di agnelli e di tigri, di luce e di oscurità. Omnia anche perché in questo spettacolo troviamo i sensi dell’udito e della vista, troviamo scrittura, poesia, canto, musica, disegno, immagini in movimento. Quello che le canzoni di stasera sono riuscite a tramandare dai versi del poeta è il sacro (in un senso diverso da quello religioso), il sensuale che ne viene di conseguenza, il primordiale, la paura, l’amore, il tutto: Blake, da bravo poeta romantico quale fu, riuscì a vedere l’infinito in un granello di sabbia e l’immensità in un’ora. E in uno spettacolo di un’ora o poco più, infatti, si riesce a intravedere, almeno un po’, l’immensità e l’infinito che ci circondano. L’immensità che c’è in una risata, l’infinito che c’è in un sogno dentro un sogno, l’innocenza che c’è tra i peggiori dei peccatori e l’esperienza che c’è nel saggio, il quale, solo dopo aver fatto tutto, nella vita, può scegliere di non fare più errori. In questi versi, in questo spettacolo al Funaro, c’è anche un Lui più volte cantato, più volte evocato. Ma non un Lui etichettabile in qualche religione. E’ il Lui di William Blake, è la luce delle visioni del poeta che immagina bardi, angeli, tigri con strisce perfettamente simmetriche, bambini sognatori, spazzacamini tristi, sabbie dorate e solitarie foreste. Lui è la fonte di ispirazione, è il sole acceso nella mente di Blake, è quel che fece muovere la sua mano componendo queste canzoni, è la vibrazione delle corde vocali e della chitarra di Blake EternalLife Show. William Blake riuscì ad afferrare tante immagini, tante idee, ma soprattutto una determinata visione: lo spettacolo di stasera ne è stato un avvicinamento aprendo nuove strade. E quando le porte delle percezione si sono purificate, tutto è apparso agli spettatori come in effetti è: infinito.

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