PISTOIA. Forse ci dobbiamo arrendere all’evidenza che la danza, quella che ci ricordiamo e che si continua a studiare in quasi tutte le scuole per adolescenti nel mondo, anche se lì, spesso, è popolata da bambine in cerca di forma e autostima, non esiste più. Da una parte è giusto: si danza la vita delle banlieu in inverno, non i sogni del quartier Latino di mezza estate, ormai ridotti al lanternino in termini di percentuali esaustive. Il merito, o la colpa, scegliete voi, è tutto di Pina Bausch e di quello che è riuscita a instillare nelle visioni artistiche dei suoi discepoli. Una di queste, tra le più rappresentative, è quel genio straordinario di Cristiana Morganti, che ieri sera, al Teatro Manzoni di Pistoia, all’interno della copiosissima rassegna Pistoia Teatro Festival, ha portato in scena A fury tale, una favola vera, decidendo però di stare tra gli spettatori e affidando il racconto della sua vita e di quella di migliaia di altre donne, a Brianna O’Mara e Anna Wehsarg.
Con un sottofondo musicale classico e psichedelico, una scenografia minimalista e apocalittica e un sogno che, nonostante le distanze dalla realtà, finisce per potersi avverare. La tecnica è ormai quella consolidata: gli esercizi sono puntualmente delle ripetute – non sappiamo se perché giovino -, sforzi titanici che denotano, sistematicamente, forza, coraggio, equilibrio e armonia straordinarie, disegnate su corpi giunonici, in questo caso, pelli bianchissime che fanno da contraltare, più che pendant, a chiome rosse e fluentissime. Brianna e Anna sono solo due, ma possono anche essere centomila; e nessuna. Si cambiano a velocità supersonica, giusto il tempo di passare dai sipari laterali del palco: hanno una tutina nera, elasticizzata e sono scalze - ormai è un rito indiscutibile - ma poi arrivano i tacchi vertiginosi e le gonne colorate, gli abiti peccaminosi, i seminudi innocenti, ginnici, che le fanno sembrare delle statue, asessuate. Sono due amiche, in perfetta sintonia, non solo artistica, ma non evitano mai di scontrarsi; perdono con imprevedibile velocità e irragionevolezza la calma, ma si riappacificano altrettanto rapidamente, ogni volta con una dose di sopraggiunta di dolcezza; vivono una vita nella quale possono riconoscersi uno stuolo indiscriminato di milioni di altre donne, ma scandiscono il loro tempo in modo imprevedibile; spesso, forse perché schiacciate dal peso della vita, prima che dagli uomini con i quali finiscono per intrecciarsi, che non ci sono, ma sono l’ombra impalpabile che le segue e le perseguita, sono terribilmente aggressive, ma abbastanza intelligenti dal farsi perdonare con manciate di benvenuta tenerezza. Trame consolidate e gradite negli spettacoli di ispirazione bauschiana, che sembrano però non volersi scostare, per nessuna ragione al mondo, nemmeno di un atomo, dagli algoritmi che guidano quegli istinti, finendo per somigliare sempre più, anche se dall’altra parte dell’Universo, a quei talk show preconfezionati che si cibano e nutrono, fino a dissoluzione, delle solite battute, sit, location. Sono spettacoli, singolarmente imponenti e importanti, che tendono a sovrapporsi: dai toni claustrofobici del sottofondo, ai palchi sgombri da qualsiasi orpello, a quarte da cataclisma, tutto condito da un puntuale poliglottismo che qualcuno, ovviamente, stenta a seguire. Stavolta, l’eccezione, ma che ha avuto tutto il sapore della conferma delle regole, è il raid di Cristiana Morganti, che sale sul palco per rassicurare una delle due anime dello spettacolo, un’incursione che a qualcuno, tra il pubblico, è sembrata l’epilogo della rappresentazione. È stata proprio la direttrice dei lavori in persona a sedare l’orgiastico inizio degli applausi con un non è finita qui. Le due ex croniste della vita in punta dei piedi hanno ripreso i loro dialoghi: fisici, umorali, passionali, meravigliosi da osservare, ritmici, inseguendo lo scorrere del tempo in senso anti orario, per poi arrendersi all’evidenza che le lancette passano da destra e vanno a sinistra, da est, per poi andare a ovest, ovunque si punti la prua.