PISTOIA. Il vecchio e il nuovo. Il vocabolario teatrale dovrebbe fare i conti con queste realtà estreme e portare in scena, soprattutto nelle scuole, Emilia, capolavoro brechtiano scritto e diretto dall’argentino Claudio Tolcachir, che oggi pomeriggio conclude il trittico al Teatro Manzoni di Pistoia. Una palestra potrebbe ospitare i pacchi e le valige accatastati nel salone della nuova abitazione dove Walter (straordinario Sergio Romano), sua moglie Carolina (imponente Pia Lanciotti) e il giovane figlio della donna, Leo (perfetto Josafat Vagni), si sono da pochissimo trasferiti. Una famiglia ideale, seppur non purissima, visto e considerato che Carolina, Leo, non l’ha progettato con Walter, ma l’ha avuto da Gabriel (Paolo Mazzarelli), un freak maledetto, a suo tempo irresistibile, che è lì, nei paraggi dell’appartamento e che aspetta, come un falco predatore, ora che non ha più lo spirito e lo smalto adolescenziale, che scocchi il momento ideale per riproporsi alla sua famiglia originaria dimenticata e abbandonata.

Nel nuovo appartamento piomba, con indescrivibile leggerezza, Emilia (una monumentale Giulia Lazzarini), la vecchia tata di Walter, ora vecchia veramente e non in invidiabili condizioni economiche. Sul filo delle memorie rimosse e di un’apparente felicità familiare, si muove tutta la rappresentazione, che scava un solco dolorosissimo nell’animo dei protagonisti, alle prese, ognuno, con le proprie piccole e fatiscenti catapecchie, buone, soltanto, forse, per ripararsi una notte d’estate. La lenta e vecchia saggezza, che si nutre di un’innocente vena di sadico sarcasmo, di un’incommensurabile Emilia (classe 1934), stride con l’adrenalinica fretta e ansia di Walter, cresciuto e abituato a vivere l’amore come espressione e garanzia di sussistenza. Anche il giovane Leo, che somiglia maledettamente suo padre, scosso dall’incertezza che si respira nella nuova casa e alle prese con le prime insopprimibili necessità chimiche, cerca, faticosamente e goffamente, di fare da elastico tra la madre, inabissata nelle proprie incertezze e il nuovo padre, al quale riconosce la straordinaria bontà degli intenti, ma rinfaccia lo scarso tatto e l’impossibilità di sapersi adeguare ai nuovi tempi pedagogici. Una rappresentazione faticosa, psicotica, introspettiva, freudiana, messa in equilibrio dalla sconfinata bravura di tutto il cast, che parte da molto lontano avvicinandosi, con regolare progressione, al dolore di ognuno dei protagonisti, esaltando, tragicamente, le solitudini di tutti e l’inconsistenza di ogni regola e certezza. Uno spettacolo che andrebbe portato negli Istituti superiori come esemplare spot, capace forse di strappare qualche adolescente dal nulla dei sabato sera e condurlo a Teatro.

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