di Luigi Scardigli

FIRENZE. I volti rilassati del numerosissimo pubblico della Pergola ci hanno indotto a pensare, poco prima dell’inizio de L’ora di ricevimento (fino a domenica 28 novembre al Teatro della Pergola, a Firenze), che non si sarebbe trattato di un’analisi e un attacco furioso ai tempi di profonda trasformazione che stiamo vivendo e che avevamo ipotizzato fossero sviscerati. Però eravamo autorizzati a pensarlo che Fabrizio Bentivoglio, il professore di francese di in un Istituto scolastico delle Banlieu, si sarebbe dovuto confrontare con una classe, di tredici adolescenti, di profonde difficoltà e differenze. E che l’incontro/scontro con i rispettivi genitori nell’ora (dalle 11 alle 12) di ricevimento avrebbe prodotto incomprensioni, manicheismi, scintille generazionali, se non razziali. E invece, Stefano Massini, che ha affidato la regia ad un molosso di nome Michele Placido e con loro la produzione del Teatro Stabile dell’Umbria, han preferito optare per una chiave di lettura e traduzione decisamente ottimista, per non dire buonista, spostando addirittura l’accento (che si consacra nel finale della rappresentazione) sul vizio, comune a molti Prof., ma anche e soprattutto a chi è nella posizione di decidere della vita degli altri, di farsi condizionare dalle apparenze, dalle deambulazioni, dai linguaggi o, come nel caso specifico, dalla scelta del banco a inizio anno scolastico fatta dagli studenti.

È vero, senza affondare la mani della retorica, che nelle ultime file siedono, abitualmente, i fuggipresto e i panorama, che si dividono i banchi in relazione alla posizione della porta dell’aula e della finestra; così come è vero che accanto al termosifone decida sempre di sedersi raffreddore e che in ogni classe, lo si voglia o meno, c’è sempre un cartone, uno studente o una studentessa dalla voce stridula che si impegna moltissimo a dire cose senza senso, che non fano che accrescere l’ilarità collettiva, ma anche a distrarre puntualmente la classe. E che queste siano tetre e anonime, colorate di grigio, illuminate da luci al neon disposte a binario sulla soffitta e che ci sia anche, inderogabilmente, una missionaria pronta a difendere anche i compagni senza alibi e un boss, che siede nel bel mezzo dell’aula per tenere sotto controllo visivo la situazione con accanto il suo guardiaspalle, disposto a difenderlo e che in sua assenza diventa, puntualmente, cattivo e violento. Così come sempre c’è anche l’invisibile, lo studente che non manca quasi mai all’appello, anche se poi, in realtà, non è mai lì, dov'è, con la mente. Ed è proprio su questo ultimo studente, dalle innumerevoli inespresse potenzialità, che la regia e il testo hanno preferito concentrarsi e spostare l’asse di controllo di un’opera teatrale che sarebbe potuta essere violentissima, letale. Il professore invece è ormai rassegnato: ha perso la voglia di insegnare, anche riconoscendo al proprio lavoro un fascino ancora inimitabile. Certo, dopo trent’anni di cattedra in un quartiere così difficile come le banlieu parigine, che somigliano lo Zen palermitano, le Vele napoletane, la Tor bella Monaca metropolitana, ma ultimamente anche le scuole periferiche della bassa padana, l’importante è arrivare incolumi e senza patemi d’animo alla fine della lezione e degli anni scolastici che si susseguono con straordinaria immutabile cadenza, ma l’occasione delle contaminazioni dei popoli sarebbe stato opportuno sfruttarla meglio, con maggiore determinazione e coraggio, casomai anche rischiando qualche affermazione e posizione impopolare, politicamente scorrettissima. Anche perché, la coppia Massini/Placido, un affabulatore del calibro di Fabrizio Bentivoglio e la collaborazione del cast della Compagnia dei Giovani del Teatro Stabile dell’Umbria (Francesco Bolo Rossini, Giordano Agrusta, Arianna Ancarani, Carolina Balucani, Rabii Brahim, Vittoria Corallo, Andrea Iarlori, Balkissa Maiga, Giulia Zeetti e Marouane Zotti), si sarebbe potuto andare parecchio più in fondo. E fare male. E farsi male.

Pin It