
LASTRA A SIGNA (FI). La situazione, nel frattempo, non è migliorata. Anzi. La società continua a sfornare serie illimitate di Luciana Colacci, che (s)fortunatamente non tutte reagiscono come il personaggio cardine di Gli ultimi saranno ultimi, rappresentazione teatrale sfornata dodici anni fa dall’idea di Massimiliano Bruno, catapultata al cinema nel 2015 e tornata in scena, ieri sera, al Teatro delle Arti di Lastra a Signa, a Firenze, con la regia di Marco Contè e il solito camaleontismo di Gaia Nanni, una e tutte. In un paesino qualsiasi di un’Italia martoriata da se stessa, si ritrovano, in un contesto drammatico, dolcissimo e fantozziano, una donna delle pulizie, un’amministratrice delegata e un’operaia della GreenLife, azienda internazionale leader in sfruttamenti, un poliziotto friulano mandato a fare gavetta altrove e una trans colombiana.
A Luciana Colacci, al settimo mese di gravidanza, la ditta non rinnova, ovviamente, il contratto a tempo determinato, nonostante la giovane futura madre sia disposta, per non perdere quel lavoro umiliante, di merda e puntualmente sottopagato, a calpestare ogni suo più elementare diritto. Fino a quando non decide, presa dallo sconforto, ulteriormente amplificato dal marito, che lavora, poco e saltuariamente, come operaio in Germania, di impugnare una pistola per farsi giustizia. La scenografia, ridotta ai minimi termini, non aiuta certo a dare allo scorrere e all’incalzare della rappresentazione il giusto pathos; il paragone con la meccanica tecnica dell’impianto scenico dello stesso spettacolo al quale assistemmo oltre dieci anni fa al Teatro Manzoni con Paola Cortellesi (una tavola circolare roteante nel bel mezzo della scena, una circonferenza di ansie e rivincite) è impietoso. Gaia Nanni, però, donna da bosco e da riviera, da Brecht e de noantri, sfrutta come al solito al meglio le proprie innumerevoli doti, nello specifico radiofoniche, riuscendo, con una semplice roteazione del corpo di centoottanta gradi, a concentrare umori, slang e stati d’animo delle protagoniste della scena, un’immedesimazione totale, un’immersione simbiotica, una trasfigurazione totale, che concedono alle statiche misure di Gaia Nanni un’elasticità impressionante. Le manca, forse, alla protagonista, nei momenti più crudi di Luciana Colacci, un pizzico di opportuna cattiveria e quell’ansia disperata, quando imbraccia la pistola per puntarla contro l’Amministratrice delegata della GreenLife. Si riprende però tutto, Gaia, e con gli interessi, non appena la trama la infila nei panni di tutti gli altri personaggi, concedendole la meritata standing ovation conclusiva, ripartita con Gabriele Doria, ala musicale dello spettacolo, che riesce in qualche modo a sopperire, con i tempi della sua chitarra, al minimalismo scenografico.
