
AGLIANA (PT). Anche il più incallito razzista e xenofobo non può non impietosirsi di fronte alla storia di Cher (Alessio Zirulia), un giovane pakistano che arriva dalle nostre parti fuggendo da tutto e da tutti e riesce a farsi inserire in un centro d’accoglienza per minori grazie al fattivo prodigarsi dell’avvocatessa Viviana (Amanda Sandrelli), che è la compagna di Paolo (Luca Giordana), uno degli addetti della comunità di profughi. Ma Vivo in una giungla, dormo sulle spine, lo spettacolo ideato e diretto da Laura Sicignano e scritto con la collaborazione di Shahzeb Iqbal, in scena ieri sera al Teatro Moderno di Agliana, è un manifesto teatrale di corretta denuncia, che parteggia spudoratamente per gli ultimi (il padre di Viviana è un terrone emigrato al Nord, dove ha lavorato una vita in fabbrica, di giorno e studiato altrettanto, di notte, il comunismo), ma che non dimentica di denunciare come dietro questa macchina umanitaria si muova un pauroso sottobosco di interessi mafiosi, un vortice di permessi e soldi che abbrutisce e devia l’aspetto umanitario, offre gratuitamente linfa preziosa al revanchismo più bieco, ma non allevia, di un solo atomo, la disperazione che affligge questa umanità di particolari e spesso indesiderati viaggiatori.
Amanda Sandrelli è brava, soprattutto a portare addosso, con discrezione e senza nepotismo alcuno, quel cognome; non è la prima volta che il suo fare spettacolo si fonde e confonde con un ruolo sociale e civile: è nelle sue corde, lo fa sottotraccia da sempre e lo decanta con quella naturale tenerezza figlia, questa sì, legittima, della madre. Anche il profugo e l’assistente sociale tengono bene il ritmo e l’umore della rappresentazione, salutata con calore dal numeroso pubblico del teatro aglianese. La storia, però, risente forse eccessivamente di un verismo sfacciato, che sul palco ha il potere di ridurre, sensibilmente, i decibel artistici in virtù di quel lato oscuro dell’impegno e del politicizzante che il teatro ha il dovere, pena la sua naturale conformazione allo stupefacente, di metamorfizzare e rendere poetico. In più di una circostanza abbiamo avuto l’impressione di avere a che fare con le prove generali di una fiction televisiva; i requisiti e i presupposti ci sono tutti, con un fuori che non esiste e non si vede, se non passare lungo le immagini sbiadite e proiettate sul fondo scena, stabilmente occupato dalla mobilia della casa di Viviana., una donna sola, che riversa eccessivamente forse nel proprio lavoro e nel proprio impegno il vuoto che la circonda. Una storia vera alla quale nessuno, per fortuna, tra gli addetti ai lavori scenografici e teatrali, ha avuto il discutibile gusto di aggiungere quel pizzico di erotismo che sarebbe potuto essere tranquillamente registrato come un anello della vicenda, derubricato come naturale effetto collaterale e che avrebbe sicuramente surriscaldato tanto le corde frustrate degli spettatori obbligati dall’abbonamento, quanto quelle di chi, in questi viaggi indesiderati, scorda, puntualmente, il dramma di un esodo senza destinazione.
