
PRATO. Non occorre sfogliare i dossier che racchiudono le denunce fatte dalle donne agli uomini, spesso ai loro uomini, per sapere, prima di leggere, che all’inizio era molto premuroso, dolce, comprensivo. E non occorre nemmeno andare molto verso Meridione per rintracciare storie simili di ordinaria follia. Spesso, anzi, sui tavoli dei giudici, queste cose non ci arrivano proprio, perché le donne, sovente, sono solite aspettare, aspettare che tutto torni com’era all’inizio. E invece. Con Polvere, Saverio La Ruina ci va giù duro per denunciare i secolari soprusi sofferti dal mondo femminile, dimenticando gli struggenti monologhi didascalici, ma portando in scena, al Teatro Magnolfi di Prato, un angolo domestico di cui, prima che sui giornali nelle pagine della cronaca, ne abbiamo sentito parlare sicuramente, augurandosi, tra l'altro, di non essere addirittura stati vili protagonisti. Per intavolare questo meraviglioso e terrificante quadretto familiare, fatto di perfide rassicurazioni, sottili e subdoli ricatti, altalene psicotiche di profonda tenerezza miste a processi sommari, sentenze e, quasi sempre, violenze, Saverio La Ruina svuota come sempre il palcoscenico e si avvale di Cecilia Foti e della sua grande interpretazione di una donna che sta lentamente provando a dimenticare e cancellare una violenza sessuale subita e della quale ha preferito tacere.
Fino all’arrivo di quell’uomo, l’uomo della rinascita, l’uomo del secondo tratto di strada, battezzato, troppo in fretta, forse, come diverso da quel cosmo con il quale ha fatto i conti fino a quel giorno. Le rose e i fiori che costellano l’inizio di quasi tutte le storie d’amore sono più o meno lentamente spodestati, nel tempo, dalla grezza abitudine, dalla crudezza, dall’indifferenza, dalla violenza e anche colui che sembrava un principe, anche se non proprio azzurro, con il trascorrere dei giorni, somiglia sempre più a una figura sinistra, pericolosa, nemmeno parente lontano dell’uomo con il quale, quella donna, avrebbe pontificato il proprio futuro, il loro futuro. Una storia crudissima, Polvere, che somiglia decisamente poco alla poesia sussurrata e codificata, fino alla mimetizzazione, delle altre denunce di Saverio La Ruina, ma che non per questo decreti effetti meno destabilizzanti. Anche il dialetto calabrese, marchio distintivo della produzione di La Ruina, in questa circostanza, è messo alla berlina, perché stavolta non occorre affatto scendere fino a Castrovillari o addentrarsi tra i meandri del profondo Sud per rintracciare vicende così dolorose. Ma anche se il racconto si snocciola attraverso il lento deterioramento di un amore nato sotto ben altri auspici, arricchito di dettagli temporali che ne segnano l’inesorabile caduta, la musica sottile, la compagnia ansiosa e ansiogena non abbandonano mai la scena; a ogni momento cruciale, che sembra voler segnare la fine, la rottura, arrivano, come ancore di salvezza, le lusinghe erotiche, il compiacimento sessuale: poi facciamo l’amore e tutto passerà, un rituale magico, appesantito dalla chimica necessità di esistere, che trova puntualmente il verso per come rimandare, letalmente, l'epilogo, ad altra data. Lui ha bisogno di annullarle il passato, disegnarle il futuro, cercando di renderla schiava eletta di un amore che è soltanto imposizione; lei crede che questa possa essere la strada attraverso la quale riuscire a vendicare e rivendicare i propri diritti e la sua voglia di amare, di essere donna, dunque compagna, e poi madre; stenta a credere, prima di capire, che quello dal quale è investita non è l’amore che sognava e che crede di meritare, ma una minaccia, una nuova violenza, subdolamente travestita. Una snervante oscillazione di intimidazioni e carezze, attenzioni e soprusi, con il chiaro intento di trasformare la nostra dolce metà, che tanto ci fa godere a letto, in un delizioso soprammobile utile da sfoggiare quando si ricevono visite. Una macedonia di rituali satanici che hanno il sapore dello stile di vita da prendere a esempio, una claustrofobica sequenza di persecuzioni mentali e morali, tutte rivolte alla innaturale colpevolizzazione della donna che ha scelto l’uomo al quale ha aperto, prima che il cuore, le gambe e il futuro, anche la porta di casa. Una bella e indispensabile lezione di vita, che il teatro, più che nelle scuole, dovrebbe portare nelle case dei genitori degli studenti; è lì, che si materializza la Polvere.
