FIRENZE. Non è blasfemo traghettare La locandiera dalla Firenze del ‘700 a due secoli successivi, fino sul delta del Po. Anzi, l’operazione è oggettivamente indolore e il risultato, con un Carlo Goldoni che non tramonterà mai, è oggettivamente e insindacabilmente piacevole. Soprattutto perché Mirandolina si chiama Silvia Gallerano, una piccola grande donna del palcoscenico, alla quale Stefano Sabelli, il regista-riadattatore di una delle opere più rappresentate, ha dato le chiavi di questo intramontabile groviglio di corteggiamenti, malizie e miserie del genere maschile al cospetto di una femmina che piace, sottotitolandolo l’arte per vincere. Anche l’idea della locanda-luna park è, oltre che funzionale al palcoscenico del Teatro di Rifredi, che ospita fino a sabato prossimo, 10 marzo, la rappresentazione, estremamente redditizia e soprattutto offre alla commedia, veloce, senza pause, il ritmo giusto di una scrittura che aveva con sé, già alla nascita, tutti i tempi ideali del teatro.

Alla locanda, sospesa sull’acqua, come uno dei più moderni, esclusivi e apprezzati B&B, ci si arriva solo a bordo di un barcone da pesca e lì, con un juke-box live, la fisarmonica di Angelo Miele, succede quello che succedeva ai tempi dell’ideatore della commedia e che succederà fino a quando vivrà il genere umano: se la locandiera è una Mirandolina qualsiasi, che piace, sorride (quando lo fa ricorda Franca Valeri), che lascia intravedere la possibilità di, gli uomini, dal loro punto di vista, dal loro angolo di osservazione, da quello che possono spendere, sono disposti a tutto; ognuno, dal proprio cilindro, estrae le carte che possiede: di credito, come di stima. Perché i quadri di Carlo Goldoni sono quelli che si continuano a dipingere con commovente ostinazione da sempre, perché ovunque, su tela, si incontreranno un Cavaliere di Ripafratta (Claudio Botosso), un Marchese di Forlipopoli (Gianantonio Martinoni) e un Conte di Albafiorita (Giorgio Careccia), che si contenderanno, con le armi di cui sono in possesso, più o meno lecite, più o meno dichiarate, il diritto di avanzare pretese sull'unica donna che attanagli le loro fantasie. Sullo sfondo, un Fabrizio qualsiasi (Diego Florio) che non si arrende alla logica del denaro (perché non ne ha) e che tenacemente proverà a far valere la sua sempiterna costanza sentimentale; un ragazzo/cameriere che non ha ancora fatto outing (Giulio Maroncelli) e due soubrettine (oggi si chiamano veline; non si spacciano per contesse, ma è peggio di prima) come Chiara Cavalieri e Eva Sabelli, che impreziosiscono la pittura di quelle sfumature sociali che il tempo sembra non voler far tramontare. Mirandolina, forse, nel frattempo, dalla Firenze del ‘700 alla seconda metà del XX secolo in pianura padana, è diventata un’altra cosa; anzi, senza forse. Ma a Carlo Goldoni, Stefano Sabelli, non poteva certo chiedere e imporre anche un ulteriore risvolto sociale utile a trasformare l’arguzia di una locamdiera in una spregiudicata macchina di soldi e successo, anche se, conoscendo il camaleontismo di tutto lo staff impegnato nella rappresentazione, lo avrebbe potuto tranquillamente fare.

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