
CALENZANO (FI). I punti interrogativi che chiudono quasi tutti (quasi è un eufemismo che regge malissimo, in questo caso) i nostri dubbi esistenziali sono destinati a rimanere tali. Anzi. Si corre seriamente il rischio, qualora si voglia incaponirci, per scioglierli, di ingarbugliarci ulteriormente e a quel punto solo le sostanze chimiche altamente dissuasive, o il suicidio, rendono pace. Anche il Teatro, inteso nel senso più nobile tra le espressioni di vita, deve necessariamente, per sopravvivere, attenersi ai rigori sopra descritti; altrimenti, esula da qualsiasi classificazione e perde la propria identità, diventando, nella migliore delle ipotesi, altro, che non è più teatro, almeno quello con il quale siamo costretti a relazionare le nostre recensioni, che soffrono, a loro volta, della nostra percezione, nella quale vivono e convivono, oltre che una oggettiva considerazione del testo e dei protagonisti, anche gli umori, le vicissitudini oggettive e soggettive e gli stati transitori.
Insulti al pubblico, portato in scena sabato 10 marzo al delizioso Teatro delle donne di Calenzano, un ghetto metropolitano di rara desolazione alle propaggini di Firenze, è uno di quei rari esperimenti teatrali con i quali ci si prova a misurare senza venirne praticamente a capo. Chiara Caselli (che firma la regia) e Lydia Giordano vorrebbero forse incarnare e riprodurre i suggerimenti di Peter Handke, il provocatorio drammaturgo austriaco autore del testo - del 1966, periodo meravigliosamente nefasto, questo, dove la ragione, spesso, era depositata sull’ultimo che aveva parlato -, ma restano inesorabilmente appese al filo, invisibile, perché inesistente, dell’anticommedia, provando inutilmente a capovolgere i ruoli dei protagonisti e del pubblico e provocando/accusando quest’ultimo di vedere quello che merita, che altro non è che la riflessione di ogni singolo spettatore di là dal palco. Non è vero. Ma non perché Insulti al pubblico non goda e/o soffra, volontariamente, di alcun appiglio scenografico e non possa far leva su alcuna distrazione ottica, fisica, animale o inanimata, che conduca chi ha pagato il biglietto verso l’origine della rappresentazione, la sua vacuità, la sua totale inattendibilità. Non sono gli orpelli scenografici a dare un senso o il senso alla parola e alle emozioni del Teatro, qualunque sia la corrente di pensiero alla quale siamo affezionati e dunque privilegiamo; da Ronconi e i suoi seguaci, dai sui più illustri, adorabili e straordinari detrattori, fino a coinvolgere tutte le linee di pensiero che spiluzzicano un po’ ovunque, il Teatro è emozione, catarsi, parola, suono, rivelazione, bellezza, irriverenza, denuncia, dolore, sacrificio e con Insulti al pubblico, di questi aggettivi e sostantivi, non se ne trova uno.
