PISTOIA. Il contrappasso è doloroso: ci sono uomini in divisa, pronti a condurci chissaddove, senza però evitarci di sfilare in passerella e mostrarci al pubblico ludibrio. Che è quello che suscitiamo agli altri, che sono lì, ad aspettare, incollati davanti alle tivvù e hanno una famelica necessità di ringhiare contro gli sfigati, che sono spesso quelli che non hanno saputo reggere al gioco. Il gioco, ufficiale, è quello al quale non possiamo più sottrarci, è quello che ci fa sentire vivi, o ci regala l’illusione di non essere ancora morti, o che per darci l’inebriante sensazione di vita ci induce a sacrificare quella di chiunque altro. Il gioco che potremmo organizzare invece è la rivoluzione, ma non appena se ne accenna l’idea, arrivano i rabbonificatori, le droghe, l’alcool, la musica alla consolle, i pestaggi. La sommossa e il suo Teatro comunque continuano, imperterriti, a non aspettare liberatorie, tregue, condoni, passaporti. E dopo La Merda, si ostina a disobbedire. Ancora, con la stessa caotica nevrosi, velocità, modalità e partitura, stavolta affidata non più alla sola Silvia Gallerano, la piccola Ado, innaorata della vita, ma timorosa di non saperla condurre, ma anche a un suo collega, Stefano Cenci, il fratello, Kerfuffle, che gioca pochissimo a pallone perché è sempre in panchina e ha il pisello piccolo, per questo fa la doccia con la mutande, ma se si masturba...

Del resto, è Happy Hour, è l’ora felice, o quella d’aria, è la rivolta degli schiavi, che almeno un’ora al giorno hanno tutto il diritto di esistere e nella quale non possono certo arrivare con il broncio, o con delle sconfitte da riscattare. La casa è nuova, spaziosa, al quinto piano, nel centro di Milano, con la fermata della metropolitana proprio sotto il palazzo, accanto al portone. C’è un gatto dimenticato dagli inquilini precedenti, nell'apprtamento; c’è un cane comprato in un canile tubercolotico e la famiglia che è riuscita ad abbandonare il casolare di periferia dove ha abitato per troppo tempo, in uno spazio angusto, maleodorante, con un padrone di casa continuamente a elemosinare l’affitto, è finalmente consapevole dei propri mezzi: il padre è un bancario che ha saputo mettere a segno qualche raggiro importante; la madre ha finalmente la lavastoviglie e i due figli rappresentano due nitide speranze: il calcio e i lustrini, gol e procuratori, danza e canto, ma anche presentatrice, o semplicemente showgirl, o anche soltanto la mignotta, purché di lusso. La madre si accontenta di saperli felici in casa; il padre li accompagna al delirio, al macello, al massacro, perché altrimenti, all’apericena, cosa vuoi raccontare, eh? Quello che andrà in scena il prossimo ottobre si articolerà, necessariamente, sulla falsa riga della prima prova generale alla quale abbiamo avuto l’onore, ma anche e soprattutto l’onere, di assistere ieri, al Funaro di Pistoia, proprio seduti accanto a Cristian Ceresoli, il minatore, a cui il regista, Simon Boberg, più defilato, ha affidato l’opera, che si materializza nella competizione mimica, timbrica, vocale e ginnica dei due mattatori, in un interminabile carosello blasfema di provocazioni, intimidazioni, minacce. Due fratelli che devono per forza superarsi, una sfida alla quale accettano di partecipare, incoraggiandosi, fino all’ultima gara. Qualcosa sarà scremato, soprattutto cercando di evitare di cadere nelle acque melmose dell'incomunicabilità e della compiacenza a tutti i costi, cercando di scansare il riflesso subdolo del deismo. Ma con tutti gli accorgimenti, il delirio sarà totale, laico, e senza regole; nessuna pietà, men che mai rimorsi. Si corre velocissimi verso il precipizio. Una maratona anarchica, nella quale occorre rigorosamente conservare l’andatura del regolamento. Altrimenti si viene squalificati, e il gioco finisce, l’ora si rabbuia e diventa triste. Si scambiano ruoli genitoriali, Silvia e Stefano: per ora, senza criteri e giudizio, ma la partitura è rigorosa; dopo, non si potrà più sgarrare. Almeno così il pubblico saprà individuare, nitidamente, i colpevoli e rivolgere a terra il pollice, il senso della condanna. Anche senza vincitori; fondamentale che si sappia chi ha perso. Del resto, lo spettacolo, è dedicato ad una delle coppie più felici del Mondo: Dolce e Gabbana, che se interpellati, potranno dimostrare esattamente il contrario.

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