PRATO. Veniva da Udine. Si chiamava Pasquale, don Pasquale. Era alto, vicino ai 190 centimetri; colto, elegante. La parrocchia di san Policarpo, a Cinecittà, periferia sud di Roma, reputò opportuno, poco dopo il suo arrivo nella canonica in pietra, affidargli la messa domenicale d’élite, quella delle 11. Se ne pentirono presto, i vertici ecclesiastici. La goccia che fece traboccare il vaso, che si colmò comunque nel giro di poche settimane, fu una sua omelia particolarmente vibrante dopo il famoso passo evangelico di Matteo: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli. Apostrofò, indicandole addirittura, alcune fedeli che si erano presentate in chiesa con costosissime pellicce. Don Sisto, il parroco, preoccupato del pericolo rosso, più che di un’emorragia di fedeli, si rimpossessò, immediatamente, della celebrazione delle 11, retrocedendo il giovane friulano a quella delle 9, popolata da frequentatori molto anziani o da giovani scalpitanti per andare quanto prima a giocare a pallone nel campo di terra attiguo, utenti questi che non avrebbero potuto, in alcun modo, restare irreparabilmente affascinati dai moniti del loro pastore.

Tutto questo per dire che le lezioni di don Lorenzo Milani, a volte, sono arrivate a destinazione. Gli esempi più eclatanti sono, prima che di don pasquale, quelli di padre Alex Zanotelli, don Andrea Gallo, don Alessandro Santoro, veri e propri rivoluzionari che da don Lorenzo Milani hanno attinto sia le direttive, che il coraggio. Per quello che riguarda la trasposizione teatrale della vita di don Lorenzo Milani e della sua inimitabile esperienza di Barbiana, però, ci permettiamo il lusso di avanzare qualche perplessità, ma da uno strettissimo punto di vista artistico. Lo facciamo alla luce (del giorno dopo) della rappresentazione, in scena fino a domenica 8 aprile, al Metastasio di Prato, del Vangelo secondo Lorenzo, spettacolo coprodotto da Arca Azzurra Teatro/Elsinor Centro di produzione teatrale/Teatro Metastasio, scritto da Laura Perini e Leo Muscato e affidato, oltre che ad Alex Cendron, nei panni del prete processato, ad Alessandro Baldinotti, Giulia Colzi, Andrea Costagli, Nicola Di Chio, Silvia Frasson, Dimitri Frosali, Fabio Mascagni, Massimo Salvianti, Lucia Socci, Beniamino Zannoni, che si alternano tra i personaggi che hanno seguito da vicino le vicende di don Milani e cinque i bambini che vestono gli abiti degli allievi della scuola di Barbiana. È una bella lettura, pertinente, precisa, diretta, della vita di don Lorenzo, dai suoi esordi ecclesiastici fino agli ultimi suoi giorni, quando a soli 44 anni fu stroncato da un male incurabile. Affidata ad un affiatato gruppo di lavoro, che tiene in piedi, senza la minima flessione, l’intero racconto lungo tutta la rappresentazione, non riesce però a uscire dai gangli storici e documentaristici ed entrare nel mondo incantato e favolistico del teatro. E anche il minimalismo scenico, che sottolinea l’esaltazione della povertà ricercata e dell’umiltà congenita del protagonista, accresce la dimensione sociale, politica, cronachistica, svilendo ulteriormente quella teatrale. Se potessimo, insomma, trasporteremmo tutto e tutti dietro una telecamera e trasformeremmo lo spettacolo in un lungometraggio televisivo. E poi, tornando alla storia, alla cronaca, ai fatti, diciamocelo, con franchezza, alla Matteo: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che la Chiesa diventi, o torni a essere, qualora lo sia mai stata, quella auspicata da don Milani

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