PRATO. Non scenderemo nei dettagli (sarebbe sacrilego) solo perché Belve, alla quale abbiamo assistito ieri, al Metastasio di Prato (si replica fino a domenica 22 aprile), è in prima nazionale. Ma di cose da dire e scrivere, di questa farsa del terzo millennio, ce ne sono in abbondanza. A iniziare dalla scelta dei protagonisti (Alberto Astorri, Salvatore Caruso, Alessandra De Santis, Monica Demuru, Vincenzo Nemolato e Aldo Ottobrino – l’ordine è alfabetico), assoldati dalla coppia Armando Pirozzi/Massimiliano Civica (testo e regia), un connubio già sperimentato, quest’ultimo, con risultati oltremodo soddisfacenti, addirittura con tanto di Ubu. Sei attori per dieci personaggi, tutti verosimilmente (in)credibili, patetici e schizofrenici, ognuno con il proprio trascorso misterioso, metropolitano, proletario e tutti animati e armati (non solo in senso figurato) dal diritto di guardare, ottimisticamente, al futuro. La struttura greca, prima e francese, poi, è tassonomicamente rispettata.

Gli ingredienti teatrali, di quel genere al quale Massimiliano Civica si rivolge già da un po' di tempo e dal quale si augura di ricevere una cascata di risate, ci sono tutti: la tragicommedia, la sete di vendetta, il cinismo, il sogno, il paradosso e il lieto fine, che si materializzano e incarnano nelle smorfie della coppia dei proprietari dell’appartamento (Pippo e Betta, Aldo Ottobrino e Monica Demuru, nevroticamente complici di un progetto più goffo che meschino), gli sgraditissimi ospiti (Giocondo e Giorgetta, Salvatore Caruso e Alessandra De Santis, una coppia disegnata su misura) e le incursioni, in scena, dell’unigenita (notevolissimo il decolté di Vincenzo Nemolato), folgorata dalla passione per il d.j. killer (l’asso del mazzo, Alberto Astorri) e i due pateticamente irreprensibili gendarmi (Stanlio e Ollio alla Caserma Diaz). Il tavolo perfettamente e borghesemente bandito per la cena (delle beffe, naturalmente), imposta a ventuno minuti dal suo consumarsi, è l’unico orpello scenografico: sotto, nascoste, le cose che non si dovrebbero vedere, ma che ogni tanto spuntano fuori. E si vedono. La deambulazione della rappresentazione è opportunamente semiseria, inverosimile, ma credibile, almeno nei sogni, almeno a teatro; surreale, quanto deve quanto basta, così come i personaggi che la popolano, piovuti in quell’appartamento al terzo piano di un condominio dell’hinterland aristocratico di una metropoli qualsiasi da chissà quale cosmo, pianeta, veri e propri marziani, ma in carne e ossa, sfruttati, stressati, ognuno con i propri scheletri nell’armadio, che a tempo opportuno busseranno forte alla porta della rappresentazione per offrire il colpo di scena, il colpo finale, l’epilogo insostituibile. Più che Scarpetta e De Filippo, queste Belve ricordano il gruppo dei Monty Pyhton, genitori legittimi dei fratelli Marx e il gusto, parossistico e grottesco, della risata, non dei sorrisi. Armando Pirozzi - decisamente più tranquillo del regista, che oscilla nevroticamente tra il salone e la piazzetta esterna prima dell’inizio e avanti e indietro dal loggiato durante - si concede ai microfoni e alle telecamere di un’emittente privata, che non può certo disertare una prima asoluta prodotta in casa, proprio dal Met, con il sostegno, oltretutto, di Armunia Centro residenze artistiche di Castiglioncello, che è la casa di Massimiliano Civica e soprattutto dopo un Ubu fresco fresco vinto dal medesimo accoppiamento, Pirozzi/Civica, con Un quaderno per l’inverno. In sala, stavolta, pochissimi condannati (abbonati), sostituiti da colleghi muniti di block notes e penne e uno stuolo nutrito e colorito di attori, partner e amici, di vecchia data, dei protagonisti, che ribadiamo, sono il fortunatissimo magma di questa scommessa artistica, che dopo il battesimo affollato da addetti ai lavori e competenti di professione, deve superare lo scoglio dell’anonimato selvaggio, quello del pubblico distratto, incompetente, svogliato, quello che viene a teatro perché in tivvù non c'è nulla, quello che, come scrive Massimiliano Civica, non ammette vie di mezzo: o ride, e ride tanto, o altrimenti è un flop.

Pin It