MONSUMMANO (PT). Più che a Gaber e a Jannacci, Tricarico sembra volersi ispirare ad uno dei meravigliosi poeti maledetti che insanguinarono di tristezza e nichilismo la Francia e l’Europa intera. La struttura ci potrebbe anche essere, ma sono alcuni dettagli hipster (la cravatta tenuta slacciata, gli occhiali da sole tenuti in piena notte sulla testa su una chioma che non ha bisogno di fermagli) a tradirlo, finendo per farlo naufragare in una serie di incomprensibili nonsense che non piacciono. E non fanno nemmeno ridere. Non a caso, Francesco Bottai, il cantautore pisano che ha preceduto sul palco dell’Yves Montand di Monsummano, vicino a Montecatini (dixit Tricarico) con Vite semiserie, l’esibizione del collega milanese (Da chi non te lo aspetti), entrambi fulcro di una delle tante serate che animeranno questa seconda edizione di Pistoia Teatro Festival, quando ha terminato la propria simpaticissima e gradevole esibizione e ha salutato lo sparuto pubblico, ha testualmente detto che d’ora in poi si sarebbero fatti du’ coglioni.

Certo, scherzava, il coideatore (con Tommaso Novi) dei Gatti Mézzi, ma vista la sua eccellente carica dissacratoria, neanche tanto! Vero; il sound minimalista di Francesco Bottai coinvolge musicalmente ed emotivamente soprattutto quelli che abitano nella Toscana del nord, da Firenze fino al mar Tirreno, passando da Pistoia, Prato, Lucca fino a Massa e per poi scendere verso sud direzione Pisa e Livorno. Ad Arezzo e Grosseto, tanto per intenderci, Sor Tentenna e Cacciucco Blues non arrivano diritte al cuore e sulle papille gustative degli spettatori, anche se a Verona, uno dei pochissimi pisani adorati anche e soprattutto a Livorno (Bobo Rondelli docet), il suo show lo dimenticheranno molto difficilmente. Perché Francesco Bottai è un manouche che strizza l’occhio al swing e al blues, che gode di un diaframma da crooner da scantinato e che è soprattutto consapevole, in barba alle preoccupazioni paterne, di avercela fatta. Almeno fino a oggi. È anche questione di slang, inutile negarlo; un toscano di mare ha qualche cromosoma in più di un milanese, specie se occorra strappare un sorriso. Anche l’aspetto, la deambulazione, il primo impatto visivo suggeriscono, al cospetto di Francesco Bottai, simpatia, buonumore, cosa che invece riesce difficile osservando Tricarico, anche nel bel mezzo di una barzelletta. E dire che il cantautore meneghino si era presentato al pubblico facendo sfracelli di consensi e premi critici con la sua Io sono Francesco, un successone di immagine che gli è valso una serie di scivoli privilegiati verso la fossa del successo, che però non ha saputo concretizzare; o forse, non ne aveva le caratteristiche, nonostante una dotta frequentazione musicale al Conservatorio. È rimasto lì, Tricarico, innamorato della propria tristezza, senza riuscire a trasformarla in energia e questo, il grande pubblico, sembra non averglielo perdonato. Francesco Bottai, invece, presta puntualmente il fianco alla propria vulnerabilità, che non si circoscrive solo attorno al tallone, ma in parecchie altre parti del corpo e dell’anima, dando sempre l’impressione di essere capitato, per coincidenze, proprio in quel preciso istante dove si stava organizzando uno spettacolo. Ma datagli una chitarra e un microfono, sa quel che fare, per intrattenere il pubblico.

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