
PISTOIA. Serve a noi grandi, l’identificazione, non a quelli che abbiamo deciso di catalogare. Che a loro volta, cresciuti con i nostri condizionamenti, faranno altrettanto con i loro piccoli, in questo vortice senza fine, dove a ogni colore si abbina un genere, un’emozione, un’idea, una cultura. Ma i colori, per fortuna, sono alla portata di tutti coloro sappiano guardarli, corteggiarli, meritarli. E Il colore rosa, andato in scena al Funaro di Pistoia, nel panorama della seconda edizione del Pistoia Teatro Festival, può felicemente ed esemplarmente abbinarsi a qualcosa che con le femmine non abbia nulla a che fare; così come il celeste con i maschi e ogni altro cromatismo che per necessità tribale abbiniamo a un gruppo, a una setta, così come succede negli anfiteatri calcistici, o nelle guerre.
I colori sono la mortificazione dei confini, dei limiti e Aline Nari, regista, ideatrice e coreografa della rappresentazione, con un curriculum pieno zeppo di collaborazioni, idee, regie, attestati e premi, coglie nel segno, alimentando il principio del messaggio con Gabriele Capilli, il maschio del branco e Giselda Ranieri, la fisicità in persona, l’elastico muscolare, il ritmo e la sensualità, già apprezzata, sempre al Funaro, qualche anno fa, in compagnia di altri tre talenti del circuito della nuova frontiera della danza. Lo spettacolo, comunque – dopo questa premessa così altisonante – non ci ha fatto impazzire, ma solo perché, immagazzinando la comunicazione e pensando alla nostra anima freak, non lo abbiamo reputato importante: viviamo così da sempre e così, senza colori identificativi, ma vestendoli e vivendoli tutti, continueremo a fare. L’effetto collaterale, secondario, dello spettacolo, l’accettazione della nostra identità, al di là di ogni esemplificazione esterna, passa leggermente in secondo piano, o quanto meno non sembra voler essere il cuore della comunicazione. A guidare lo spettatore nei meandri del racconto, prodotto da Aldes, in collaborazione con Ubidanza, con il sostegno di Mibact e della Regione Toscana, c’è la voce narrante di Graziella Martinoli (bel diaframma, davvero); Daniela Carucci si prende la briga dei testi, il suono invece (altro elemento positivo), è opera di Adriano Fontana, che si avvale delle musiche originali di Valentino Corvino, con l’esclusione del brano (U2) che sigilla la rappresentazione, le luci di Michelangelo Campanale e i costumi, disegnati dalla regista e Alessandra Podestà.
