CALENZANO (FI). Hanno tenuto a ribadirlo in più di una circostanza, durante lo spettacolo, che questo LinguaIncontro fosse, per lo più, un laboratorio. Ma nonostante le avvertenze, soprattutto in virtù di una cornice senza tempo (il Castello di Calenzano, sito da urlo), a quest’idea di Livia Gionfrida, alla quale non smetteremo mai di essere grati, manca la poesia, anche se, sul palco, Lucia Sargenti, voce incantevole, femmina di classe e attrice rispettabilissima, prova in ogni modo ad ammantare la rappresentazione con il velo della prosa. Ma l’intera messinscena soffre, senza riuscire a staccarsene quanto dovrebbe, il peso della comunicazione, che è un’altra iniziativa a favore dell’accoglienza, intesa come inevitabile contaminazione umana tra indigeni e migranti contraddistinta dall’unico, reale e, spesso insormontabile, ostacolo: la lingua.

La musica (originale, di Andrea Franchi), che fa ineludibilmente parte della rappresentazione (e non sarebbe potuto essere diversamente, con una Lucia Sargenti a disposizione), ad esempio, non ha bisogno di linguaggio; o meglio, ne ha uno solo ed è comprensibile a qualsiasi latitudine. Ma quando si sale in cattedra e non si vuole impartire lezioni, ma offrire spunti, riflessioni, idee, si ha necessariamente bisogno di poesia, e in LinguaIncontro manca, perché, ripetiamo, è troppo attenta al comizio e troppo poco alla magia. Con Lucia Sargenti, che apre la scena invitando all’ascolto, fino a suggerire un’attenzione estrema, offrendo al pubblico delle maschere nere che annullano i colori, le sagome, la visione, per facilitare la concentrazione, ci sono anche Giulia Aiazzi, Mohammed Abdali (arabo, che ci racconta i vari significati di termini che si sono impossessati dei nostri luoghi comuni più facili da temere e dunque da bandire) e un ragazzo di colore (le cui generalità non sono segnalate sul comunicato stampa - ma di quale colore)? che mette in mostra spiccate doti ginniche, così energiche che una delle tre sedie disposte sul palcoscenico non reggerà alla sua veemenza, rompendosi. Un’ottima idea che non riesce a calarsi nel suo contesto teatrale e che finisce per essere un dibattito a metà, anche se la regista/drammaturga Livia Gionfrida prova a trasformare lo spettacolo in un divertente quiz, invitando i presenti a cercare di indovinare a quale dei due libretti sacri (Bibbia e Corano) appartengano le quattro frasi che vengono lette dai protagonisti, indicando con una croce (i due indici incrociati) la Bibbia e la mano disposta a mezza luna, il Corano. Su quattro frasi, ne abbiamo indovinate tre, ma solo perché abbiamo sempre ipotizzato che appartenessero al Corano; a nostro avviso, tra i due libretti, non c’è alcuna differenza: sono entrambi oppiacei e sono serviti a spingere e giustificare, nei secoli, inenarrabili massacri. Prima di salire sull'esclusiva irta che conduce al Castello, ci siamo abbeverati, a valle, al BarSport, vivamente consigliatoci e che, altrettanto convintamente, consigliamo.

Pin It