
SESTO FIORENTINO (FI). Ha visto, certamente, uno dei capolavori di Kubrick, 2001 Odissea nello spazio, Andrea Bruni, così come siamo sicuri che abbia letto La fattoria degli animali, di Orwell. Le reminiscenze cinematografiche ce l’ha indotte il prologo bucolico, quello fatto nel giardino del Centro Espositivo Berti, a Sesto fiorentino, dove è stato allestito Animal’èsca, il progetto teatrale che il regista ha realizzato, oltre che in virtù dell’Associazione Culturale ZerA, grazie alle scrematura e successiva alfabetizzazione di alcuni dei suoi studenti/attori (Nadia Capanni, Nicola Caprini, David Cinelli, Greta Fanoi, Antonella Gori, Ilaria Mangiavacchi, Jessica Natali, Sara Pedroni Marta Ringressi, Filippo Sottili e Alessandra Taddei: l’ordine è alfabetico) per realizzarlo; quelle bibliografiche ce l’ha invece suggerite la trasformazione delle bestie in ominidi effettuata durante il passaggio sul palcoscenico, anche se nessuno degli undici in scena abbia perso, dal giardino al teatro, piumaggi, suoni gutturali e deambulazioni claudicanti.
L’idea, quella di consegnare agli spettatori/posteri il messaggio di lasciarsi trasportare dall’esistenza e correre tutti i rischi legati a vivere, non è affatto malvagia, così come è simpatica la trilogia interpretativa del titolo. Senza apostrofo, non ha bisogno di ulteriori dettagli; con l’apostrofo e senza accenti sulla e dopo l’elisione, il rischio ingannevole nel quale possiamo cadere e dal quale, in una società strutturata sulle apparenze e sui giudizi, non riusciamo più a venirne fuori; con l’accento acuto sulla e dopo l’apostrofo, che è la versione ufficiale, dunque corretta - ma non è detto che coincida con le nostre interpretazioni -, un’esortazione a dare adito e linfa all’animale che stagna e soggiace all’interno di ognuno di noi e che aspetta solo che il comandante dei centri nervosi, abbattute remore e diplomazie, gli consenta e conceda di esprimersi. Rafforzato, quest’ultimo concetto, dalle poche righe di presentazione della rappresentazione, sulle note di un verso di una poesia dello spagnolo Antonio Machado, uno degli elementi più rappresentativi della generazione del ‘98: Viandante, la via (il cammino) non c’è; la via (il cammino) si fa andando. È attorno a questo concetto che le undici fiere, più o meno fameliche, perdute le origini bestiali, hanno esposto il proprio assolo umano, invitando il genere umano all’ascolto di sé stesso per ricordare le premesse faunistiche che ognuno di noi, interrogandosi, non dovrebbe avere problemi a rigenerare. Un viaggio introspettivo verso Finisterre, il cammino laico alla salvezza, che è la fine, ma soprattutto il principio, che è riuscito a coinvolgere una pletora di adolescenti accompagnati dai rispettivi genitori presenti alla duplice commedia, anche se, facile immaginare, la prima parte, quella all’aria aperta, lontano da vincoli di deontologica convivenza e che si è materializzata con chiassosi contatti, ha avuto il maggior successo. Delle undici bestie in scena, scandagliando il corpo attoriale, qualcuna ha già assunto le sembianze di Napoleon o Palla di neve e sembra essere in grado di iniziare a crederci; altre, gattonano ancora e non è peregrino pensare che in piedi non riusciranno mai ad alzarsi.
