FIRENZE. Rileggere è un’operazione indispensabile. Soprattutto in considerazione del fatto che di nuovo, da qui all’infinito, ci sarà ben poco. Quando si affondano le mani nella memoria poi, a teatro, ad esempio, un passaggio indispensabile è quello nella poetica di Eduardo De Filippo, di cui, per pudore, non ci permettiamo di dire nulla: basta il suo nome; Eduardo. E il gruppo dei Diplomati della scuola per attori Orazio Costa della Fondazione Teatro della Toscana (Francesco Grossi, Filippo Lai, Athos Leonardi, Claudia Ludovica Marino, Luca Pedron, Laura Pinato, Nadia Saragoni, Erica Trinchera e Lorenzo Volpe), sotto la guida di Gianfelice Imparato, parente acquisito della divinità sopracitata, ha deciso di mandare in scena, tradotti in italiano dalla lingua originaria napoletana, quattro atti brevi: Pericolosamente, I morti non fanno paura, Amicizia e Uomo e galantuomo. E visto che per questa prima nazionale, la compagnia ha scelto il restaurato Teatro Niccolini, di via Ricasoli, a Firenze, a due passi da quella meraviglia senza tempo che è il Duomo, l’operazione appare del tutto più che deontologicamente corretta.

Il problema, quando ci si accosta a quel mostro sacro di Eduardo, non è tanto nello slang e in quella faccia che racchiude, riassume e rende leggendario il teatro, anzi, il Teatro; se non ci si vuole impegnare in un improbabile e difficoltosissimo copia/incolla, occorre, indispensabilmente, avere il coraggio, l’abilità e la scienza di cavalcare quella tigre indomabile usando altri accorgimenti, tipo, tanto per fare un esempio, ma non a caso, uno dei più illustri, Natale in casa Cupiello di Antonio Latella, con una scenografia minimale, ma avveniristica, accorgimenti morali futuristi e un’imprescindibile Monica Piseddu. Perché il Teatro, una parte del Teatro, non ha bisogno di comprensioni dirette per erigersi a ciò che presume di interpretare. Emma Dante, tanto per citare un’altra indispensabile e meravigliosa sommità del Teatro contemporaneo, ha sostituito, da tempo, la parola, nel suo senso più stretto e univoco, in un universo di percezione/emozione che si discosta, anni luce, dal classico intendimento, lasciandosi tranquillamente intendere, senza simultaneo alcuno, né con sottotitoli, da chiunque assista ai suoi spettacoli. E non è da escludere che tutto questo, lo sappiano bene, anzi, benissimo, anche i bravi, ma molto bravi, allievi del corso Orazio Costa, impeccabili impiegati teatrali, che, seppur giovanissimi, hanno messo in mostra una dimestichezza scenica degna dei migliori e più navigati veterani dello spettacolo, con tempi, modi, dizioni e smorfie che ne esaltano una tassonomica, pedissequa e seria didattica. Le scuole di Teatro abbondano di bravissimi e volenterosi ragazzi: insomma, nonostante il catastrofismo di Popolizio, siamo convinti che i sipari si continueranno ad aprire anche negli anni che verranno e che in platea, anche defunta questa generazione di spettatori, le seggioline ricoperte di velluto, casomai vecchie e lise, continueranno ad accogliere il pubblico che verrà; a loro, ecco, a loro, agli spettatori di domani (agli attori esentiamo reprimende: dovrebbero saperlo; suggeriamo un po' di sporcizia, qualche inesattezza e un trasporto maggiore, con più sofferenza), raccomandiamo, prima di lamentarsi di cartelloni poco convincenti e/o di abbonarsi, di studiare un po’, prima di ogni altra cosa, perché il Teatro non è un passatempo, ma un’arte.

Pin It