FIRENZE. Siamo convinti che Bella figura non sia uno dei testi più robusti della poliedrica produzione della parigina Yasmina Reza; né che questa scrittura, commissionata appositamente al teatro, diretto da Thomas Osthermeier, sia una di quelle che le ha arrecato le maggiori fortune. Ma in scena, alla Pergola di Firenze (fino a domenica prossima, 4 novembre), per la regia di Roberto Andò, prodotto, in successione, dal teatro berlinese Schaubuhne e poi dalla compagnia Ipocriti Melina Balsamo, l’inevitabile disguido che si materializza nel ristorante dove il giovane sfortunato imprenditore Boris (David Sebasti), in compagnia dell’avvenente farmacista Andrea (Lucia Mascino), sua amante da quattro anni, incontrano il vincente e razionale funzionario Eric (Paolo Calabresi), accompagnato dalla svampita madre Yvonne (Simona Marchini) e dall’intransigente moglie Francoise (Anna Foglietta), supera a pieni voti, alcuni con lode, il concorso dell’intrattenimento.

È una commedia maledettamente piacevole, Bella figura, uno pseudonoir di Selleriana memoria, che non aggiunge probabilmente nulla al buon teatro comunque da sempre fatto bene, ma che non fa una grinza, mai, dall'inizio alla fine: il ritmo, elevatissimo e conviviale, riesce a catapultare i cinque mattatori in scena in un ristorante qualsiasi del centro fiorentino, come di un qualsiasi altro della sua periferia e le varie scenate che si susseguono, tra isteria e misurata indignazione, sono una fedele sequenza di fotografie di inopinabile attualità. L’inevitabilità del disguido, che è il motore di tutta la rappresentazione, scaturisce dal fatto che quel ristorante, a Boris, glielo abbia consigliato proprio la moglie e non è dunque improbabile che il locale sia frequentato anche dalle amiche della consorte, come Francoise, che convince Eric, il marito, a prenotare un tavolo, proprio la sera stessa, per i festeggiamenti in onore del compleanno sua madre Yvonne. Adorabilmente calibrate le smorfie, perfettamente riconducibili allo strato sociale delle rispettive derivazioni, così come gli abbigliamenti dei cinque protagonisti, senza dimenticare i toni dei loro diaframma, i corpi con i quali si impongono o meno sulla scena. Vincente la scenografia, semplice, ma architettata con incastro sapiente, con una sopraelevata che divide, davvero, il parcheggio dalla sala e i cambi scena, tra un litigio e il successivo, passando attraverso la momentanea riappicificazione, parzialmente coperti da un telo che non copre del tutto il palcoscenico. Perfettamente a tema le sagome dei protagonisti, che sono individuabili ognuno nel proprio ruolo prima che lo spettatore consegni a ciascuno di loro la parte assegnata a questi dal copione. La sicumera con la quale Eric, perfettamente realizzato in ogni singolo paragrafo della propria esistenza anche a costo di un imbarbarimento del concetto di felicità, smonta le giustificate e comprensibili preoccupazioni professionali di Boris, imprenditore sull’orlo del baratro, marito poco esemplare e amante sin troppo titubante; le vulcaniche paure di Andrea, compressa tra l’esuberanza del suo corpo e l’instabilità dei suoi sentimenti, vittime, questi ultimi, di una posizione sociale scomoda, anonima, non riconosciuta; l’inutile rigida invincibilità di Francoise, sconfitta dal tempo che pare voglia sacrificarla sull’altare dell’impassibilità e la tragicomica stravaganza di Yvonne, attratta e distratta, in questo inesorabile incedere del tempo, solo dalla possibile compatibilità che cerca di stabilire nel cocktail di farmaci che assume e il terrore di perdere la sua inseparabile borsetta. Cinque voci soliste, cinque strumentisti perfettamente allenati a esibirsi in orchestre che regalano alla commedia, leggera, ma espressiva, senza essere espressionista, il gradimento, universale e trasversale, del pubblico. Dopo aver fatto tappa a Firenze, la compagnia di Bella figura si trasferirà altrove; nei cartelloni dei prossimi appuntamenti, talvolta, al posto di Lucia Mascino, nel ruolo di Andrea, ci sarà Anna Ferzetti, altro viso e corpo noto e nobile della televisione e del teatro italiano, anche in virtù dell’amore che la lega, da oltre tre lustri, a Pierfrancesco Favino. Il risultato teatrale, siamo pronti a scommettere, sarà sicuramente lo stesso, senza subire la benché minima variazione, anche se le gambe di Lucia Mascino, anche scalza (che vuol dir molto: chiedetelo a Sartre!) specie dalla prima fila, sono davvero uno spettacolo nello spettacolo.

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