
FIRENZE. Anche ad Amleto, se fosse stato in sala, ieri, al Teatro Mila Pieralli di Scandicci (replica stasera, domenica 11 novembre, ve ne consigliamo il contatto) i dubbi, sarebbero svaniti. Avrebbe forse potuto obbiettare – ci riferiamo sempre a Shakespeare, eh – alcune vie di fuga e atre contestualizzazioni politiche liberamente attinte e perfettamente incastonate in Yorick, ma si sarebbe certamente inchinato all’interpretazione, fisica, magistrale, di Simone Perinelli, regista e drammaturgo di questo spettacolo di Leviedelfool. Che è, soprattutto, un esaltante omaggio alla recitazione, all’immedesimazione, alla trasfigurazione, alla musicalità di un testo che sembra volteggiare in sala alla ricerca di un senso che rimbalza, con ginnica leggerezza, da un angolo all’altro del palcoscenico, cosparso di sementi per i polli e amplificato da alcuni microfoni che pendono, alternativamente, dall’alto, megafoni di dolore e lucida follia, solitudine e rassegnazione.
Sì, certo, nel canto V, scena I, durante lo scavo per la sepoltura di Ofelia, viene realmente trovato un teschio che fu di Yorick, buffone di corte, ma quello che abbiamo avuto l’onore di assistere è decisamente qualcosa d’altro, che prende per mano noi, la musica, l’acrobazia, il travestimento e ci conduce negli anfratti del Teatro, dove l’altro è quello che un giorno potremmo diventare, che è quello che siamo stati, forse, o quello che non vorremmo mai essere e se lo siamo già, non ce ne siamo ancora accorti. Nel corpo del mattatore solitario, Simone Perinelli, trovano albergo, contemporaneamente, dal sottosuolo che scorre lungo il tempo, le storie delle popolazioni, farcite di uno e tutti e di Yorick, e non solo a Corte, ce n’è davvero uno solo, con qualche, a nostro avviso sontuoso, accostamento, come quello che ci ha suggerito, in più di una circostanza, l’andamento della rappresentazione, rispolverando nella memoria e nelle emozioni il Cantico dei cantici di Roberto Latini. Yorick/Caronte, per salpare sull’altra riva dell’Acheronte e traghettare così la sua anima folle tra quella dei normali senza passare attraverso la cortina della medicina e della farmacologia, si è imbarcato su una vasca da bagno, remando con l’ausilio di birilli da giocoliere. La traversata, perigliosa, pericolosa, è resa ancor più insolita dall’arrivo, improvviso, a turno, di nuovi marinai, di attacchi improvvisi di spersonalizzazione, di una formale telefonata che vorrebbe rassicurare il paziente, al quale, (s)fortunatamente, hanno già individuato e isolato i Sintomi, sentenziata la Diagnosi e prescritta la Cura. La musica (Massimiliano Setti), in sottofondo, non dà tregua, così come la scenografia, un lager maleodorante dove Yorick ha imparato a vivere le sue fortune e disgrazie, dove da sopra gli hanno comunque consentito di portarsi, in dote, i suoi arnesi da giullare, che sono gli stessi che hanno divertito tutti e sono quelli con i quali, uno, riuscirà a salvarsi.
