PISTOIA. Solo un attore frustrato, a cui da tempo nessun regista offre un copione o una collega invidiosa, per talento e bellezza, non si inchina alla magistrale interpretazione di Monica Guerritore nella sua riproposizione, dieci anni dopo, di Giovanna D’Arco, che ha ufficialmente aperto, questo fine settimana, la stagione del Manzoni. Quarantacinque minuti di energia pura, padronanza scenica, movenze, pause, sussurri e grida, su un corpo che di invecchiare non ne vuol sapere, con alle spalle una scenografia che vuole decontestualizzare l’eroina francese e consegnarla alle storie delle ingiustizie, passando in sequenza, sul fondo del palco, le immagini di Martin Luther King e le didascalie di Giordano Bruno, con Show must go on, ultimo brano dei Queen con Freddy Mercury e quella meraviglia di Adagio for Strings, di Samuel Barber, la colonna sonora della disfatta americana in Vietnam che Oliver Stone ci ha consegnato con Platoon.

Uno spettacolo, questa Giovanna D’Arco - che Monica Guerritore si è cucita addosso curandone tutti i dettagli -, che si potrebbe letteralmente prendere in toto e trasferirlo letteralmente nelle scuole dei teatri di tutto il mondo per dare l’idea di come ci si possa e debba comportare una volta spente le luci e aperto il sipario. Come si debba inseguire un centro che non esiste; come si debba offrire il proprio corpo nonostante, in dosso, si abbia un pantalone scuro da metalmeccanico e una conottierina nera; come si debba prendere in ostaggio l’attenzione di tutti gli spettatori chiudendo gli occhi e lasciandosi travolgere dalle emozione sonore in sottofondo; come si debba calibrare il diaframma, cercando di sintonizzarlo con la voce, fuori campo, dei magistrati inquisitori e come, sullo scroscio di applausi a fine rappresentazione, con gli incessanti battiti di mani intervallati da più brava da ogni angolo del teatro, ci si possa addirittura prendere la briga di lasciare in eredità, oltre il ricordo dell’interpretazione, anche le parole fuori copione invitando lo spettatore, clandestinamente, ma religiosamente, con un crocefisso in legno stretto tra le mani, a immedesimarsi nel coraggio della giovane donna bruciata viva e diventare, nei nostri giorni, testimoni di coraggio. Un saggio oggettivamente monumentale, un’opera che sembra non poter e dover invecchiare mai, grazie soprattutto all’immarciscibilità della sua musa creatrice, padrona del Teatro e in particolare di quello pistoiese del Manzoni che proprio di recente l’ha voluta omaggiare di un dono alla carriera, che Monica Guerritore ha voluto ritirare con i vestiti di Giovanna D’Arco. Sottovoce, e con profonda titubanza, ci permettiamo anche di scrivere però che quella classe e quella maestria recitative andrebbero messe a disposizione di nuove idee, altrimenti, deceduta questa generazione di spettatori (e viste le età, non manca moltissimo), si corre seriamente il rischio di vedere seppellire, con gli indomiti abbonati, anche gli stessi teatri.

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