PISTOIA. Come sovente accade, anche in questa circostanza, al termine dello spettacolo, Virgilio Sieni, invitato da Saverio Barsanti, direttore artistico del Teatro Manzoni di Pistoia, che ha ospitato il balletto, ha spiegato agli spettatori, con dettagli storici e professionali, cosa sia stato il suo Petruska. Il messaggio, altrimenti – è giusto che il creatore esiga coscienza e consapevolezza -, arriva deformato, confidando, per la comprensione, unicamente nell’oggettiva osservazione della bellezza delle specifiche emotività di ogni singolo osservatore. Che può capire molto – ieri, il Teatro, pullulava di aspiranti danzatrici, maestre di scuola di ballo, appassionati ai quali non si può spacciare per arte il semplice movimento -, molto poco, alcune volte addirittura più di quanto si dovrebbe; altre meno, sotto la soglia della comprensione più elementare. Ma con la danza, affidata poi a danzattori del calibro del sestetto che ha animato la doppia rappresentazione (Jari Boldrini, Ramona Caia, Claudia Caldarano, Maurizio Giunti, Giulia Mureddu e Andrea Palumbo), si percorre un sentiero probabilmente unico, assimilabile alla pittura e alla scultura, che esula da qualsiasi altro contesto artistico.

Cioè si può ignorare, letteralmente, tanto lo spartito, nel caso specifico di Igor Stravinskij, quanto la rimodulazione culturale e coreografica di Virgilio Sieni e sentirsi, comunque, in uno spazio che, seppur non ci appartenga minimamente, ci risulti immediatamente familiare, suggerendo, a diverse latitudini spesso intercambiabili da una poltroncina a quella subito accanto, situazioni che probabilmente a nessuno dei protagonisti, dal musicista russo fino all’ultimo degli addetti ai lavori coreografici, erano venute lontanamente in testa. È successo anche ieri sera, all’esordio, quando i sei protagonisti hanno voluto ricordare, in un preludio schermato, la storia leggendaria che gravita attorno alla figura/maschera di Petruska. Vero: quando sul palcoscenico ci sono Claudia Caldarano e Giulia Mureddu, con tutto il rispetto che portiamo, e volentieri, ai quattro colleghi appartenenti al resto della compagnia Virgilio Sieni sul palcoscenico pistoiese, siamo profondamente parziali, per nulla oggettivi, trasformandoci da spettatori in ultrà. Siamo perdonati e se gli altri non dovessero farlo, ci autoassolviamo, perché le emozioni epidermiche, sensoriali, visive, immaginifiche che riescono a suscitare, sistematicamente, la loro danza, le loro recite, la loro totale immersione nel corpo altro che è poi il loro, esula, fino a far dimenticare del tutto, l’oggetto della rappresentazione, scatenando, con naturale parallelismo, una serie di altre sensazioni che siamo convinti appartengano all’immaginario collettivo emotivo e che reagisce, naturalmente, a sollecitazioni. Da quelle dell’esordio, la vestizione della maschera; un anelito di vita dalla nascita alla morte, crocefissione, meglio. Per poi arrivare ad un balletto con connotati distintivi assai più decifrabili, ma non per questo meno misteriosi della prima proiezione in vitro. Movimenti estenuanti, guidati da un istinto che invece si coordina a uno studio dettagliato e specifico che raggiunge la perfezione/spettacolo solo all’indomani della milionesima prova, su corpi frammentati e vivisezionati in frame alla ricerca di un equilibrio che non si riesce, per fortuna, a trovare.

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