
FIRENZE. La fila di liceali che hanno atteso, dopo lo spettacolo, in strada, fuori dai camerini della Pergola di Firenze, due dei tre protagonisti (facile immaginare di chi si sia trattato: basta guardare le foto di scena) di After miss Julie, è l’ennesima riprova di quanto la popolarità, esentetatro, influisca mostruosamente sul numero degli spettatori in platea. Premessa doverosa che non inficia, e non ha la minima intenzione di volerlo fare, la dimestichezza scenica con la quale Gabriella Pession (Giulia), figlia di nobili milanesi condannata a un’esistenza circoscritta nell’alta società, decida di ribellarsi al proprio rango provocando e circuendo il sottoposto Lino Guanciale (Gianni), l’autista del padre, ufficiosamente (non hanno l’anello, non è ufficiale) fidanzato con Roberta Lidia De Stefano (Cristina), cuoca della famiglia. Giampiero Solari, il regista dello spettacolo di Patrick Marber, prodotto dal Teatro Franco Parenti con il sostegno del Mibac di Milano, ha voluto trasportare temporalmente lo scandalo di Corte svedese di fine ‘800 all’indomani della Liberazione in Italia dalle truppe nazifasciste.
Operazione tutto sommato riuscita, ma senza che le riviste partiture dei tre protagonisti in scena fossero prudentemente riadattate senza tracimare in eccessi, fino a correre il rischio, per noi sofferto, di inverosimiglianza. A iniziare dall’elastico isterismo della verginella Giulia, passando per l’altalenante e ondivago atteggiamento del suo autista e fino ad arrivare alla patetica arrendevolezza della cuoca, che in nome di questo presunto amore di un suo pari decide di sorvolare su una serie di imperdonabili nefandezze sentimentali di quest’ultimo. La trasposizione temporale insomma, caricata dall’angolazione personale del regista, eccede, in più di una circostanza, in una esagerata confidenza con il possibile. Certo, la festa che impazza nelle vie di Milano per la cacciata delle truppe naziste e la conseguente fine vittoriosa della guerra autorizza ogni entusiasmo, concede qualsiasi eccesso, sprigiona un’energia che covava da cinque anni senza avere la benché minima idea di potersi liberare. La spudoratezza della signorina Giulia, che non smette mai di provocare il maschio che alberga nel corpo di Gianni, l’autista di suo padre, nemmeno dopo averlo trovato, tra i fornelli della cucina, perdutamente innamorato tra le braccia e nella bocca della sua futura sposa Cristina, più che voler significare l’inizio della liberazione femminile dai pregiudizi e da secoli di complementarietà, ne testimonia il suo apostrofabile libertinismo, ancor meno giustificabile se relazionato alla disparità sociale con la quale deve fare i conti per vincere la modestissima rivalità d’amore. Cristina infatti, appetitosissima contadina che non ha nulla da invidiare tanto alla sua datrice di lavoro Giulia quanto a chiunque altra piacevolissima signorina dell’alta società, decide di soprassedere, oltre ogni ragionevole perdonismo, alle ripetute e marcate mancanze alle quali il suo futuro sposo le impone di assistere, in una sola notte, nel seminterrato della villa dove lei e il suo Gianni pianificano, da tempo, futuro, matrimonio e famiglia. La confidenza recitativa che si è instaurata, da tempo, tra Giulia e Gianni, maturata sui set televisivi, prima ancora che sui palcoscenici, sembra rappresentare, paradossalmente, l’anello debole di questo improbabile univoco triangolo, nel quale Giulia e Gianni decidono di coinvolgere l’innocente e sprovveduta Cristina, disposta a tutto pur di coronare un sogno che ha più le caratteristiche di un incubo, forse risolto dal gesto estremo al quale sembra voler andare incontro la signorina Giulia, fino a diventare After.
