
FIRENZE. Al di là e oltre la genialità del testo, con Leonardo da Vinci, sottotitolato L’opera nascosta, Michele Santeramo oltrepassa, anche fisicamente, la frontiera, prendendosi lo scettro del Centro per la sperimentazione e la ricerca teatrale. Lo spettacolo – perché di spettacolo si tratta, in tutti i sensi –, prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana, che verrà replicato stasera, 9 dicembre, alle 19, alle ex scuderie granducali nel piazzale delle Cascine, a Firenze, è un meraviglioso compendio affabulatorio tra immaginazione, ingegno, novellistica e surrealtà, così lucida, quest’ultima, che si ha davvero l’impressione di averne già sentito parlare delle storie dell’imparagonabile pittore, ingegnere, scienziato, architetto, scultore, disegnatore, scenografo, musicista e inventore di Anchiano che per sbarcare il lunario, nonostante la sua sconfinata magniloquenza, fosse costretto a soddisfare le mire di dominio del Duca e fabbricare, per lui, armi potentissime. Ma questo, voi, lo sapevate già; dunque, non ha senso che ve ne parliamo. Ci preme invece raccontarvi cosa Michele Santeramo abbia scoperto avvicinandosi alla storia di quel gran genio del suo amico, Leonardo appunto, da Vinci, incontrato, lo scorso anno al Louvre, confuso tra le migliaia di ammiratori della sua Gioconda.
È in quella occasione, pare, ma questa storia, come lo spettacolo, del resto, è tutta inventata, che Leonardo da Vinci abbia confidato a Michele Santeramo una serie di aneddoti apparentemente visionari, ma terribilmente sconvolgenti, della propria esistenza, tra le quali, quella di maggior rilievo, è sicuramente quella relativa all’invenzione dell’artificio dell’eternità, fortunatamente non brevettato, almeno per ora. Per dare corpo leggendario alla favola, Michele Santeramo si è avvalso, sul ring scenografico ridotto all’indispensabile, dei disegni di Cristina Gardumi, proiettati, durante il reading, alle spalle del mattatore e che raffigurano, picassianamente, i momenti salienti delle rivelazioni, come succede sui libri illustrati per i lettori più piccoli. È proprio questa trasposizione fanciullesca, genuina, oggettivamente fantastica, a rendere il testo, mirabilmente profondo fin nelle viscere dell’intimità più irrisolta e probabilmente irrisolvibile, straordinario. Con quell’incidere, meraviglioso, dell’autore, continuamente sospeso e sorpreso tra l’arcano e l’inevitabile, una giustificazione dogmatica dei misteri e dei suoi diktat, con i riflettori puntati sull’intimità capaci di svelarne l’inconscio che si ciba di storia e cronaca per continuare a nascondersi. E sopravvivere. Un infaticabile adoratore dell’ozio, che sprigiona massime degne di note a piè di pagina, Michele Santeramo è un eccellente cronista della vita degli altri, che finge di conoscere e che finisce per sapere dettagliatamente confidando, unicamente, in una distratta osservazione, sancita, possibilmente, seduto, a tavola. Come succede a proposito dell’annunciazione biblica, quella che la Gioconda incastrata nella sua tela fa a Leonardo, il suo creatore, a proposito dell’inesistente dimensione del tempo e grazie alla quale il più illustre factotum rinascimentale riesce a trarre i maggiori profitti dal solito generoso e lungimirante Duca, incapaci però di immunizzarlo dalla sua stessa creazione, scorporandolo dalla sua epoca e detronizzandolo dalla sua fama. Perché senza gabbie, senza limiti e senza confini, la felicità è una promessa che vanifica le proprie aspettative e cessa di esistere, distribuendo indifferenza e mortificando gli effetti cardini e collaterali legati al significato della parola. Un gioco meraviglioso e contorto, incredibile e inenarrabile, raccontato e dissipato però con la straordinaria vena di un folletto di corte che sopravviverà, probabilmente, anche quando sarà finito e scaduto il suo tempo. Ma anche questo, voi, lo sapevate già.
