di Paolo Ferro

PRATO. Prato otto dicembre duemiladiciotto stop Teatro Metastasio stop grande spettacolo Maestro e Margherita stop previsti giochi magia stop. Potrebbe essere questo l’incipit. Ma potrebbero essere migliaia e tutti diversi i resoconti di quanto visto ieri sera sul palco del Metastasio pratese, ognuno attinente all’idea che ci siamo fatti quando abbiamo letto per la prima volta l’insuperabile romanzo di Bulgakov. Ogni lettore, nel suo intimo, avrà sempre il desiderio di vedere rappresentate le proprie fantasie e le proprie versioni delle incredibili storie intrecciate fra loro e degli impossibili caratteri dei personaggi. Quella proposta ieri sera da Letizia Russo e dal regista Andrea Baracco è solo una (a dirla tutta, piuttosto interessante) delle possibilità di risolvere l’enigma della trasposizione, dal libro alla scena, delle pirotecniche vicende di questa meravigliosa opera.
Una scenografia davvero sorprendente, pur nella sua linearità, che più che sfondo diremmo fa da appoggio ai bravissimi attori, interpreti ciascuno di più ruoli, come richiesto dalle centinaia di personaggi originali della storia. Su tutti, ovviamente, il protagonista, il bravissimo Riondino, nel ruolo di Woland, il diavolo scalcagnato del romanzo, che qui diviene (a tradire le nostre misere aspirazioni immaginative) una sorta di Joker Marvel, scelta secondo il nostro parere azzardata, che tuttavia non me sminuisce le capacità interpretative. Tre ore di spettacolo, spesso sopra le righe, talvolta un po’ troppo facile ad attingere dai cliché, ma che coinvolge il pubblico, specie quando lo trasforma in quello della storia, e vi fa scendere la protagonista Margherita, avvicinandola così empaticamente agli spettatori, presi così tanto che non sarebbe bastato un terremoto a far loro credere che non fosse parte della mise en scene! E cosa importa se chi recita si appoggia ogni tanto al mestiere e meno al cuore: al bando i critici pretenziosi, quelli che distrussero il romanzo del Maestro, alter ego proprio di Bulgakov, fortemente avversato dal governo del tempo. Questo è uno tra i più riconoscibili messaggi della storia e non saremo noi a fare la parte del cattivo. Anche perché, il romanzo ci chiede, cos’è la verità? e ci lascia con un pugno di mosche in mano, che tentiamo di scacciare applaudendo forte al chiudersi del sipario, nell’attesa della prossima messa in scena e dell’ennesimo tuffo nella fantasia.
