FUCECCHIO (FI). Abbiamo tra le mani una grande occasione: sarà meglio, per tutti, che non ce la si lasci sfuggire. L’esodo, biblico anche per laici incalliti come noi, che stiamo vivendo, sopportando, soffrendo, sfruttando deve per forza di cose migliorarci; sbagliare, anche solo valutazioni, potrebbe essere letale. È il lungo sottotitolo che abbiamo voluto dare a Lampedusa, del britannico Anders Lustgarten, prodotto da Bam Teatro, Artisti Associati e Mittelfest 2017, tradotto da Elena Battista, diretto da Gianpiero Borgia e rappresentato, ieri sera, al nuovo teatro Pacini di Fucecchio, da Stefano (Fabio Troiano), pescatore di Lampedusa che raccoglie cadaveri nel Mediterraneo e Denise (Donatella Finocchiaro), immigrata di seconda generazione, marocchina, che vive e studia in Brianza, dove lavora, agognando un posto alle Nazioni Unite, come agente addetta alle riscossioni di prestiti: bravi, bravissimi, con trasporto e distacco, cinismo e calore, terrore e speranza.

Tra i due, oltre alla grande distanza geografica, non sembrano esserci punti di contatto, se non quelli, comuni a chiunque, dell’umanità. Perché entrambi, improvvisamente, nonostante si fossero da tempo abituati ai propri cinici rituali (raccogliere cadaveri in mare di visi che si somigliano maledettamente l’un con l’altro e avvalersi dell’ufficiale giudiziario per il sequestro dei beni, quando la morosità persiste), avvertono l’impellente esigenza di (ri)pensarci. Lo raccontano in due monologhi intrecciati, giustamente applauditi per considerevoli qualità artistiche al di là dei contenuti condivisi, su un palco che li ospita insieme, ma singolarmente, a un grande faro portuale, quello dal quale si avvistano, a distanza, barconi in mare carichi di disperati. Ma quella stessa luce, per molti versi fioca, se non si è ben concentrati sull’orizzonte, illumina anche le povertà che ci passeggiano accanto, che non arrivano da terre lontane, ma che vivono vicino alle nostre vite, alle quali, sorridendo, chiedono, in un preciso momento della loro esistenza, solo un po’ di umanità. Ma nello stesso preciso istante, sarà bene – questo lo sosteniamo noi; nella rappresentazione passa solo il lato politico imprescindibilmente buonista – non annegare, a nostra volta, nella demagogia e iniziare a lavorare seriamente per far fronte a una calamità della quale, probabilmente, ci sono sfuggiti alcuni dettagli epocali, cosmici, guerramondialisti. Occorre necessariamente favorire il contro sviluppo, la decrescita, la più possibile equa ripartizione delle risorse. Dobbiamo rendere confortevolmente vivibili, e non solo turisticamente visibili, angoli della Terra che fino a qualche anno fa sono serviti a quell’esigua, cinica, sadica, minoranza globale affinché il fossato che la divide dal resto della popolazione mondiale si allargasse a dismisura fino a renderlo incolmabile. Dobbiamo imprescindibilmente riallineare redditi e profitti affinché i soggetti dispotici di cui sopra non diventino usurai di tutti gli altri, in questa corsa al massacro capitalistico che risparmierà solo chi potrà affidarsi alla forza della salute e vantare scorte inimmaginabili di cibo e farmaci. Dobbiamo insomma non sprecare questa grande occasione che pare mostruosamente nefasta che la storia contemporanea ci sta offrendo su questo lugubre, terrificante, piatto dorato, ripensando allo spazio, alla libertà, alla dignità, alla tolleranza, alla convivenza, alla (cum)passione, senza consentire più a nessuno di poter infrangere, prima di farlo, le regole. Il Teatro, questo Teatro, è un ottimo ariete al quale affidare la forza dirompente per riuscire a scardinare il portone che si trova oltre il fossato a protezione di un castello che non ha più alcuna ragione di esistere.

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