FIRENZE. Una cosa è certa: Suor Lidia - Madre Generale, come ci hanno nostalgicamente specificato al telefono -, era ‘na stronza. Detto questo, però, e conclamato dalle confessioni/ricordo di buona parte degli alunni di quel corso delle scuole elementari nel lustro 1983-88 all’Istituto Suore di Carità di Roma, in via di Monte del Gallo, quartiere Aurelio, dietro San Pietro, zone da ricchi, eh, La classe, lo spettacolo di Fabiana Iacozzilli, senza la gratuita, cinica, sadica cattiveria di quella maestra, non sarebbe mai nato. E invece, dopo aver fatto incetta di premi, la rappresentazione, tra pupi e drammaturgia, artigianato e designer, linguaggio e documentario, è arrivata al Cantiere Florida, a Firenze, richiamando nell’alcova di via Pisana buona parte degli addetti ai lavori, incuriositi. E sulla bontà manifatturiera del lavoro, il giudizio finale, da parte di tutti, ancor più granitico dell’odio e del rancore riservato a quella suoraccia da parte dei suoi ex scolari almeno del corso 1983-88, è plebiscitario: bello, costruito meravigliosamente, con tecnica e professionalità, pittorico. Un felicissimo intrattenimento trasversale, che secondo canoni dimenticati da noi grandi, potrebbe addirittura affascinare i piccoli, casomai suggerendo loro di ribellarsi, qualora la situazione sul palco richiami in qualche modo quella che potrebbero vivere e subire loro.

Ma non è di Suor Lidia che bisogna parlare, anche se senza il suo dispotismo militare il distico teatrale annegherebbe in un ricordo non contemplabile da scenografie, messe in scena e (im)moralità intellettuali. La regista però, da questo ricordo, che per lei è stato un incubo che ha provato a metabolizzare e sciogliere coinvolgendo i compagni/vittime di quel piccolo olocausto elementare fino a ritesserne un profilo pseudo dittatoriale, ha voluto estrarne la quintessenza della sua origine, provando a trasformarlo e provando a capire cosa ci si faccia o possa fare con il dolore. Quello che si vuole, quello che si può. Di occasioni per rispondere e provocare, durante i pregevoli sessanta minuti costruiti attorno alle straordinarie quattro marionette di Fiammetta Mandich e animate da cinque performer (Michela Aiello, Andrei Balan, Antonia D’Amore, Francesco Meloni, Marta Meneghetti) e issate lungo le coordinate della drammaturgia da Marta Meneghetti, Giada Parlanti, Emanuele Silvestri, Tiziana Tomasulo e Fabiana Iacozzilli ne ha avute, senza però svelarle. Anzi, sembra proprio che senza Suor Lidia, la regista, nella vita, avrebbe forse fatto altro, perché oltre al terrore subito dalla composizione dei pensierini sulle pecore, la loro rappresentazione o la spiegazione degli zigomi, materializzatisi a suon di strizzoni, retaggi questi di notti insonni e paure incontrollabili, fu proprio Suor Lidia, per una festa della mamma compresa nel fatidico quinquennio 1983-88, ad affidare alla sua scolara inconsapevolmente prediletta, Fabietta, la regia di una piccola scena. Insomma, quello che fu e sarebbe dovuto essere fonte di degrado e denuncia per abusi di potere e maltrattamenti, si è trasformato, a distanza di tempo e senza che vittime e carnefici se ne siano resi conto, in una predestinata vocazione artistica. Insomma, quella suor Lidia/sergente Hartman, avrà forse indotto qualche Palla di lardo al suicidio, ma qualcuno, dal Vietnam, è pure ritornato a casa. E qualcuno di loro, come Fabiana Iacozzilli, è diventata un generale.

Pin It