
PISTOIA. Come ci si può riconciliare con il Teatro, qualora, con l’incedere dell’età e dopo aver visto, in parecchie salse, molti dei classici, bilanciati, mestamente, da una parte di quel nuovo che avanza e che fa incazzare, per quanto è brutto e oltretutto presuntuoso? Basta avere la fortuna di imbattersi, come è successo a noi, al Teatro Manzoni di Pistoia (si replica oggi pomeriggio, domenica 3 febbraio, alle 16) in un’opera tra le più rappresentate nel mondo di quel genio di Luigi Pirandello, Così è (se vi pare), ma quella prodotta dal Teatro Stabile di Torino con la regia di Filippo Dini. Subito dopo, si ha voglia di vederne un altro di spettacolo, perché se il Teatro è quello visto in questa occasione, regalatecene ancora, vi preghiamo. Maestoso, divertente, esemplare, incalzante, ironico (non potrebbe essere altrimenti), con due mostri sacri a tirare le fila (Maria Paiato e Filippo Dini), le loro e quelle di tutti gli altri, che si sono goliardicamente ambientati e immersi in questa impeccabile, straordinaria rivisitazione. Di Pirandello e della sua opera, fortunatamente contemplata in ogni ordine e grado in tutti gli Istituti scolastici secondari, non ve ne parliamo, dando per scontato che ognuno di voi, tra chi legge e chi era a Teatro, ne sappia abbastanza per non perdere tempo. Superfluo, potreste obiettare, è anche tessere ancora una volta le lodi di attori che stanno tenendo alto il Teatro.
Ma per questa seconda opzione ci sentiamo in dovere, prima che in diritto, di parlarvene. E allora via al carosello dei complimenti, con il regista/coscienza/Pirandello (Filippo Dini, nei panni del parente satiricon, Filippo Laudisi), giudice super partes, ma irriverente e ansiogeno, nella contesa condominiale che coinvolge l’intero paesino, tra chi assegnare, tra i due contendenti, Maria Paiato (la signora Frola) e suo genero(?) Andrea Di Casa (il signor Ponza), lo scettro della pazzia, quella che risolverebbe l’angoscioso dilemma che alberga in tutti gli osservatori in scena (Nicola Pannelli, il consigliere Agazzi; Mariangela Granelli, la signora Amalia Agazzi; Francesca Agostini, la figlia degli Agazzi, Dina; Ilaria Falini e Dario Iubatti, i coniugi Sirelli; Orietta Notari, la signora Cini; Giampiero Rappa, il Prefetto/cameriere; Mauro Bernardi, il Commissario Centuri/cameriere e Benedetta Parisi, la misteriosa signora Ponza/cameriera/spettro), pubblico compreso, come successe già alle prime rappresentazioni, nel bel mezzo della prima Guerra Mondiale: chi, tra i due, è il pazzo? Un’opera monumentale che aveva, biochimicamente, incentrato la propria immortalità sull’irrisolvibile dilemma, che diventa miraggio per chiunque sia alla ricerca di una ragione per vivere, che bilancia ragioni e torti, verità e falsità, bontà e malvagità, dualismi antitetici che non possono avere mediatori in grado di risolvere l’annoso dualismo a chi rivolgere, e salvarlo, il pollice verso l’alto e chi, condannandolo, rivolgerlo verso il basso. Filippo Dini, lucidamente consapevole di correre il rischio, letale, di riciclare un dramma di cui se ne conoscono una miriade di sfaccettature, ha voluto giocare d’azzardo, scommettendo tutto il proprio capitale, facendo piatto, in una partita nella quale, gli avversari, pubblico e critica, pronti a infilzarlo e mandarlo in povertà, non aspettavano altro che vedere il suo buio, obbligarlo a scoprire le carte e sbeffeggiarlo per il suo patetico bluff. La cosa straordinaria di questa partita, proprio in onore di una verità assoluta che forse non esiste, è che nonostante il regista l’abbia vinta a pieni voti, facendo alzare in piedi per lo scroscio di applausi finale anche il pubblico meno disposto, l’ha vinta anche il pubblico stesso, tutto, indistintamente: quello che si fida solo di Pirandello, quello che non ne poteva più di rappresentazioni di Pirandello e quello che si scervellava pensando a come fosse possibile che Pirandello dovesse essere solo fotocopiato. Una serata meravigliosa, dove il Teatro riprende quota e il pubblico che lo popola e che lo mantiene in vita può orgogliosamente dire di esserci stato, permettendosi il lusso, doveroso, di raccomandarlo.
