
FIRENZE. La facilità con la quale la musica e i testi di Pino Daniele trasferiscono le anime degli ascoltatori altrove non è inversamente proporzionale alla semplicità con la quale si possa poi riuscire a imbastire, attorno alla storia delle sue ballate, un’opera. Alessandra Della Guardia e Urbano Lione invece, in debito, probabilmente, come tutti, del resto, con Pino Daniele, sono riusciti a regalargli, postumo, un dono particolarmente ambizioso, ma semplice: raccontare una storia, dai bassi napoletani, lungo i binari di alcune sue canzoni, costruendoci intorno una vicenda affatto fantascientifica. Un giovane napoletano, Antonio, da tempo emigrato a Torino, riceve una raccomandata che gli comunica che suo padre, che non ha mai conosciuto, come lascito testamentario, gli ha lasciato una cospicua somma di denaro e la proprietà di un immobile, che nel tempo è diventato il Ue man, locale storico del sottobosco musicale partenopeo, rifugio prezioso per musicisti, cantanti, attori e ballerini della Napoli meno abbiente, con tanto di sogni e frustrazioni, amori e sesso, personaggi ideali e camorristi, saggi e cantori, scugnizzi e femmine di lusso, bene e male a intrecciarsi meravigliosamente in questa storia on the road.
E allora, dentro con la poesia di Pino Daniele, che ha raccontato, dal 1977 in poi, anno del primo album, le storie, spesso minori, di alcuni personaggi di Mergellina, gli Spagnoli, le Vele, condite dalla magnificenza della sua sapienza musicale e di quel crocchio di Musicanti che gli ha gravitato intorno, da Napoli Centrale (De Piscopo, Senese, Marangolo, Esposito, Vitolo, De Rienzo, Amoruso) fino alle più sontuose collaborazioni, firmate Johnson, Shorter, Barbieri. Per realizzare un progetto tanto ambizioso, che si sta muovendo in giro per il Mondo (tanto i napoletani stanno ovunque) e che ha fatto tappa e data a Firenze, al Tuscany Hall, occorreva che più fattori si dessero appuntamento all’interno di un’unica idea, che muove i passi attorno al patrimonio, incommensurabile, di Pino Daniele. A cominciare dai musicisti, ovviamente, che avrebbero avuto il compito di ripristinare il sound dell’indimenticabile e indimenticato artista napoletano, musicisti che appartengono alla sua orbita strumentale e che rispondono ai nomi di Fabio Massimo Colasanti (chitarra), Roberto D’Aquino (basso), Alfredo Golino (batteria), Simone Salza (sax) ed Elisabetta Serio (piano e tastiere), precisi, puntuali, con il pudore di chi sta riproponendo, senza riletture, nè tributi, i pentagramma scritti nelle notti insonni di San Paolo. Ma un musical ha bisogno di attori, cantanti, ballerini e allora, ecco il resto del mosaico, a completare il puzzle: Noemi Smorra, Alessandro D’Auria, Maria Letizia Gorga, Simona Capozzi, Pietro Pignatelli, Enzo Casertano, Francesco Viglietti, Leandro Amato, Ciro Capano, un po’ troppo, ma anche inevitabilmente, melodrammatici, visto e considerato che solo a Pino Daniele – e a nessun altro – è mai riuscita l’operazione Napoli-Resto del Mondo conservando, intatte, tutte le peculiarità del substrato partenopeo catapultandole nell'universo strumentale di slang sconosciuti e dove la tarantella non si sappia cosa sia. Tutti i personaggi che appaiono e vivono in Musicanti sono quelli che sono apparsi, rimanendoci per l’eternità, nelle storie di Pino Daniele; l’incontro, su un piano semantico terzo, è oggettivamente gradevole. Lui non sa e non può ringraziare; noi, che lo abbiamo visto, sì. E con piacere.
