
PISTOIA. Non sappiamo se conosca più e meglio il Teatro o gli Spettatori, Roberto Valerio; un dubbio ininfluente, però, perché il risultato, puntualmente, è sempre lo stesso: applausi a scena aperta e orgogliosi inchini soddisfatti al termine. È successo anche ieri sera, con il Tartufo, al Manzoni (domenica 10 marzo, alle 16, terza e ultima replica), che l’ha prodotto, per questa nuova antica versione della commedia di Molière, della quale il funambolico romano (slang con cui l’abbiamo benevolmente appellato) firma la regia e indossa i panni di Orgone, marito tanto rigido quanto sprovveduto che non riesce a capire l’inganno che il finto amico Tartufo gli sta ordendo. Il Teatro lo conosce alla perfezione e non a caso, la sua squadra, che come una duttilissima fisarmonica si allarga e si stringe a seconda delle circostanze, vanta delle presenze che sono insostituibili: come la candida Valentina Sperlì (Elmira, la moglie di Orgone), ad esempio, o lo speaker Massimo Grigò (Cleante, il fratello di Elmira e Lorenzo, il servo di Tartufo), tutti con lui nelle precedenti fortunatissime e applauditissime esperienze, dal Vantone a Casa di bambola, passando per L’impresario delle Smirne.
Per l’occasione però, per l’intrigo di Molière, occorreva mettere in scena altre figure, tra l’altro indispensabili e allora, la fisarmonica si è allargata e tra le sue pieghe ha coinvolto Elisabetta Piccolomini (madame Pernella, madre di Orgone), Luca Tanganelli (Damide, figlio di Orgone), Paola De Crescenzo (Marianna, figlia di Orgone), la straordinaria Roberta Rosignoli (Dorina, la cameriera) e, ultimo ma non certo tale, Giuseppe Cederna (il viscido Tartufo). Ma conosce anche il pubblico, Roberto Valerio, eccome, perché i suoi spettacoli, mai divisi in più atti, sono sempre un perfetto ed esemplare elastico e distillato di suspence, tragedia e umorismo, contestualizzati con riferimenti ineccepibili (stavolta è toccato alle canzoni di Lucio Battisti), quasi sempre impreziositi da un finale a sorpresa, alcune volte doppio. Con Molière e il Tartufo poi, non foss’altro per attenersi alle due versioni, quella censurata e quella liberata, ha addirittura studiato l’escamotage del replay, fingendo di riavvolgere la pellicola e imponendo a tutti sul palco di ripercorrere, a ritroso, gli ultimi istanti, quelli che trasformano Orgone e la sua famiglia da beffati a rimborsati. Il resto è tutto un perfetto equilibrio di battute a doppio taglio, diaframmi modulati, deambulazioni clownesche e la bellezza eterea e mai invasiva delle sue donne. Su tutte, Valentina Sperlì, un’attrice, ma prima di ogni altra cosa una signora, che godrebbe di pari fascino anche se facesse l’impiegata, con quell’ironico candore e quell’irresistibile malvasia che le fascia il corpo e le disegna il viso. Nel Tartufo poi, sottolineando il maschismo e la bigotteria dell’epoca, Elmira riesce a indossare contemporaneamente gli abiti della moglie paziente, della madre premurosa senza essere ossessiva e addirittura disposta a lasciarsi travolgere dalla joie de vivre che le suggeriscono i due figli, soprassedere al corteggiamento tentacolare e spudorato del finto amico di famiglia, esporsi all’inverosimile per rendere ragione e dorotti al marito e ignorare la vendetta, anche quando la situazione è ormai sul punto di precipitare. A tutto questo, poi, aggiungeteci la ciliegina sulla torta che Roberto Valerio ha deciso di mettere nel bel mezzo del dolce, Giuseppe Cederna, prezioso incantatore di serpenti a cui non riesce però inanellare l’ultima beffa, quella che, scoperta, lo manderà a invecchiare in galera.
